Le 76 scalinate verso il cielo di Roma e le rampe negli inferi della capitale
Esplorazioni urbane in salita e in discesa nel volume di Alessandro Mauro “Se Roma è fatta a scale”
di Patrizio J. Macci
Alcuni libri richiedono devozione più che attenzione nell'atto della lettura. È il caso del volume di Alessandro Mauro “Se Roma è fatta a scale” (Exorma editore), un piccolo gioiello per la perfezione e lo stile con il quale è stato realizzato dall'autore che di professione si occupa della cura editoriale di volumi da venticinque anni.
Il sottotitolo è paradigmatico: “stanno alle scale come traverse però fatte di gradini”. Questo è il senso del libro, realizzato nel periodo compreso tra settembre 2014 e febbraio 2016 vagando per Roma a piedi e in bicicletta a guardare scale con l'intenzione poi di raccontarle.
Sono settantasei quelle alla fine narrate dall'autore, molte di più rispetto a quelle visitate che si spera un giorno possano finire in un secondo volume. Non un censimento ma una scelta del tutto arbitraria. Racconta l'autore: “nel corso dei mesi sono andato almeno una volta a guardare da vicino ciascuna delle scale di cui ho scritto, e oltre a scrivere ho trascorso molte ore su Google Maps”.
Il frutto di queste riflessioni sono confluite in un testo “sui generis”, colto, ricercato nei contenuti, senza dubbio non l'ennesima guida di Roma da allineare nello scaffale della biblioteca.
Ogni scritto, una rampa (o scala, scaletta, clivo, scalea, scalinata, salita, monte, gradinata ecc.) per vere e proprie esplorazioni urbane. L'autore disegna una mappa urbana che abbraccia tanto i quartieri storici quanto le periferie più misconosciute e lontane. Anche quando racconta luoghi celebri, abusati e da cartolina lo fa in maniera del tutto nuova. Per esempio con le parole di Cesare Pavese quando parla di Piazza di Spagna, oppure con un riferimento a un artista o a un personaggio che lì ha soggiornato se scova un mozzicone di scala nella Suburra o in un vicolo. I sampietrini stanno lì da secoli, sono gli occhi che guardano a fare la differenza.
Non manca lo scalino che porta al carcere di Regina Coeli, mitizzato da generazioni di malandrini.
Per non dimenticare mai che “Il mondo è fatto a scale...c'è chi le scende e chi le sale”, e nella Capitale le scale marcano anche la discesa nell'inferno della detenzione carceraria a Via della Lungara, assurte a simbolo di una certa romanitas maschia e un po' coatta.
“Se qualcuno decidesse di prendere una bicicletta o un tram” chiosa l'autore nella postfazione “per andarsi a vedere o rivedere qualche scala, sarebbe una specie di vittoria. In effetti, un'altra possibile causa della mia attrazione per le scale è che almeno lì sopra non possono andarci le macchine, che invece a Roma stanno quasi dappertutto”. Solo nei film di spionaggio il protagonista si arrischia a scapicollarsi lungo una scala con la sua fuoriserie. Nella vita reale le scale sono uno strumento di comunicazione.
Scale dove fermarsi a mangiare un panino oppure a tirare quattro calci a un pallone, scale chiuse da catene collocate da condòmini in assetto da guerra. Scalini come tasti bianchi di un pianoforte sui quali suonare variazioni cromatiche dell’anima con gli occhi persi nel cielo di Roma.