Roma
Lo smart working frena le carriere. Più lavoro e meno soldi: c'è chi dice no
L'84% dei lavoratori è soddisfatto dello smart working, ma un lavoratore su 5 non riuscirà a dare una svolta alla propria vita lavorativa. Indagine Uil-Eures
Post Coronavirus, lo smart working o “lavoro agile” è la morte della carriera. Se i lavoratori “più svogliati” sono soddisfatti nel restare in casa così a lavorare in pantofole, dall'altro chi invece punta sulla carriera lavorativa è disperato perché vede al minimo storico le possibilità di una promozione o di un aumento di stipendio.
A scattare l'istantanea su questi primi quattro mesi di smart working forzato causa Covid-19 è stata la Uil Lazio che, insieme all'Eures – Ricerche Economiche e Sociali, ha condotto un indagine che ha fatto luce sui pregi e sui difetti del lavoro a distanza grazie ad un questionario somministrato a dipendenti pubblici e privati di Roma. Oltre 8 lavoratori romani su 10 (83,9%) si dicono soddisfatti dello smart working. Sono soprattutto i dipendenti del settore privato (85,5%) quelli più entusiasti anche se la preferenza va verso un’alternanza tra lavoro in remoto e in presenza perché la mancanza dei colleghi e di un confronto sembra farsi sentire anche tra chi vorrebbe prolungare il “remoto” oltre i sei mesi.
Le criticità dello smart working
Anche se quasi la totalità del campione è soddisfatto, non mancano le criticità per chi resta chiuso in casa a lavorare. Per il 57,7% degli intervistati, il tempo dedicato al lavoro è aumentato, a fronte di un esiguo 3,6% per il quale è diminuito; il 39,4% segnala inoltre un aumento dei carichi di lavoro, mentre è ancora il 3,6% a indicarne l’alleggerimento; diverso è il tema della produttività che ben il 59,3% degli intervistati definisce migliorata.
Il cambiamento più critico riguarda però la questione delle prospettive di carriera e della crescita retributiva, che soltanto l’1,7% dei lavoratori considera accresciute con il passaggio al lavoro agile, a fronte del 19,4% - ovvero un lavoratore su cinque - che ne segnala l’arretramento (il 78,8% non riscontra cambiamenti significativi al riguardo). Ciò sembra significare che il distanziamento tra lavoratore e ambiente di lavoro finisca per indebolire la forza contrattuale di tale componente.
Nel confronto tra lavoratori del settore pubblico e del privato sono i primi a segnalare in misura maggiore un aumento dei carichi di lavoro (50,9% contro il 37,5% di quelli del privato), così come un aumento dello stress (36,4% contro il 25,1%); tra i lavoratori del privato sono invece più numerosi quanti segnalano un aumento della produttività, con il 60,3% delle indicazioni contro il 54,1% tra i lavoratori del pubblico.
Un altro problema sul quali i sindacati stanno combattendo è quello legato ai benefit. I lavoratori in smart working, oltre ad essersi visti nella maggior parte dei casi diminuire lo stipendio, sono anche stati privati di alcuni benefici che prima potevano usufruire. Su tutti i buoni pasto, che sono stati il primo benefit a saltare senza che venisse corrisposto nulla in cambio, ma anche gli straordinari, concetto che non fa più parte dello lavoro agile ed a cui tantissimi lavoratori facevano ricorso per “arrotondare” a fine mese.
Ma le criticità non finiscono qui. La perdita della socialità e del confronto con i colleghi si conferma infatti il principale aspetto negativo legato all’esperienza dello smart working, segnalato da oltre la metà del campione, registrando il numero di citazioni più elevato tra i lavoratori over 54enni (60,3%), attestandosi al 56% tra gli under39enni e risultando pari al 51,2% tra i lavoratori di 40-54 anni. Anche la sovrapposizione tra tempi e spazi di vita e di lavoro appare un elemento critico avvertito trasversalmente dal campione; in particolare sono soprattutto i giovani under 40 (43,1%) a rilevare una mancanza di separazione netta tra tempi di vita familiare e di lavoro.
Gli aspetti positivi del “lavoro agile”
Tra i maggiori punti di forza associati allo smart working, è emerso il risparmio del tempo necessario agli spostamenti casa-lavoro (75,5% delle indicazioni), apprezzamento che raggiunge l’85,6% tra i più giovani (fascia under 39) e che rappresenta un fattore determinante per chi lavora a Roma che è la prima tra le Capitali europee per numero di autovetture private e fanalino di coda per i tempi di spostamento.
Il 48,1% del campione indica invece come vantaggio del lavoro “da remoto” la maggiore possibilità di conciliare gli impegni lavorativi e la cura domestica e familiare, mentre per il 41,8% degli intervistati il passaggio allo smart working ha comportato un risparmio economico, venendo meno sia i costi degli spostamenti (abbonamenti a bus e/o treni, carburante, parcheggio, ecc.) sia le altre spese legate alla presenza fisica in ufficio, quali i pasti fuori casa.
Per un lavoratore su 3, invece, un elemento di vantaggio è rappresentato dalla possibilità di svincolarsi dai tradizionali orari di lavoro, potendo decidere autonomamente i tempi di svolgimento della propria attività lavorativa, all’interno di un sistema lavoro che privilegia la qualità delle prestazioni e non la mera “quantità di lavoro” espressa in termini di ore lavorate.
La possibilità di conciliare attività lavorativa e cura domestica è un vantaggio espresso soprattutto dai lavoratori di età compresa tra i 40 e i 54 anni (54,1%), dove si concentrano le coppie con figli minori che nel periodo del lockdown hanno affrontato il lavoro da “remoto” insieme al carico di impegni e responsabilità derivante dalla chiusura delle scuole e/o dalle esigenze della didattica a distanza.
Cosa succederà nei prossimi mesi
Da qui ai prossimi le cose però potrebbero cambiare. A fronte infatti di un marcato interesse verso il lavoro agile, i lavoratori hanno espresso la necessità di mantenere un legame con la struttura fisica dell’azienda presso la quale operano: oltre 3 intervistati su 4 preferirebbero adottare una soluzione “mista”, alternando al lavoro da casa una presenza più o meno costante in ufficio, mentre solo un intervistato su 5 sarebbe favorevole ad uno smart working esclusivo, con un’attività lavorativa svolta completamente “da remoto”.
La formula “mista” è apprezzata soprattutto dai dipendenti del comparto pubblico, tra i quali ben l’84,8% preferirebbe un’alternanza tra smart working e lavoro in ufficio, a fronte del 77,6% rilevato tra i dipendenti privati, che al contrario nel 22,4% dei casi sarebbero favorevoli all’adozione di uno smart working pressoché esclusivo (contro il 15,2% nel pubblico).
La necessità di garantire una quantomeno saltuaria presenza in ufficio si riscontra in misura maggiore tra gli occupati che hanno un inquadramento contrattuale elevato, tra i quali la preferenza verso un sistema “misto” raggiunge l’85,2% dei consensi (14,8% la percentuale di quanti preferirebbero al contrario lavorare esclusivamente dalla propria abitazione), scendendo tale quota al 75,5% tra gli impiegati (24,5% le preferenze accordate invece al sistema “esclusivo”), mentre nella fascia di età correlata alla presenza di figli minori si evidenzia una maggiore propensione ad una soluzione di smart working “puro” tra i lavoratori di 40-54 anni (tra i quali tale preferenza si attesta al 22,8%), a fronte del valore minimo tra i 18-39enni (18,1%), tra i quali invece la percentuale di quanti preferirebbero una soluzione mista risulta più elevata (81,9%).
“Questi dati devono farci riflettere – ha commentato il segretario generale della Uil Lazio, Alberto Civica –. Se pensiamo che prima del lockdown soltanto il 7% dei lavoratori italiani aveva già sperimentato lo smart working, contro il 17% dei colleghi europei e oltre il 30% degli americani, possiamo facilmente comprendere quanto l’introduzione del lavoro agile abbia rappresentato una vera rivoluzione nelle nostre abitudini lavorative e personali. Un cambiamento a cui molti non erano ancora preparati e spesso mal digerito da alcuni datori di lavoro, ma che in generale si è rivelato una straordinaria opportunità, come emerge anche dai risultati del questionario. Un modo per comprendere quanto il lavoro non debba essere sinonimo di controllo costante dei propri dipendenti ma valorizzazione della responsabilità individuale e collettiva. Ci sono sicuramente molte modifiche e aggiustamenti da effettuare, ma bisognerà entrare sempre più nell’ottica di un lavoro che permetta di conciliare le proprie esigenze con la produttività. D’altronde si è visto più volte che un lavoratore soddisfatto rende di più. Facciamo in modo che quest’emergenza produca cambiamenti positivi nella nostra vita. Il sindacato sin da subito ha cercato di adeguarsi al nuovo sistema e di interagire per tutelare il lavoratore anche nella nuova modalità viste anche le criticità segnalate da buona parte degli intervistati”.
Sul futuro, Civica ha voluto sottolineare un dato importante: “Sono ovviamente soprattutto le donne a preferire un sistema misto (nell’81,1% dei casi contro il 76,2% tra gli uomini) perché su di loro grava il carico familiare oltre che lavorativo, a conferma di quanto ci sia ancora da fare per superare la persistenza di modelli tradizionali e asimmetrici di organizzazione nella cura domestica. Inoltre bisognerà considerare anche i vantaggi che il lavoro a distanza produce sull’ambiente. Punto che non a caso è stato considerato un elemento di forza per oltre il 36% degli intervistati”.
Il campione intervistato da Uil ed Eures
L’indagine condotta dalla Uil del Lazio e dall’Eures è stata fatta su un campione di 763 lavoratori, prevalentemente romani. Tra gli intervistati, l’85,5% lavora nel settore privato e il 14,5% nel pubblico, con una prevalenza di occupati nel terziario (63,2%), rispetto a quelli dell’industria (31,9%) e del settore primario (4,9%). Nella quasi totalità dei casi si tratta di dipendenti con un contratto a tempo indeterminato (97,2% del totale) e a tempo pieno, suddivisi in dirigenti, funzionari e quadri (31,7%) e impiegati (68,3%), con un’equa suddivisione tra laureati e diplomati. La maggior parte (66,3%) lavora in imprese o organizzazioni con più di 500 addetti, mentre solo il 3,8% del campione lavora in strutture con meno di 50 addetti e per oltre il 90% di questi il lavoro “da remoto” ha rappresentato un’esperienza completamente nuova.