Roma

M5S caos, parla Bianchi ex ministro di Prodi”. “Roma non può tornare al voto”

L'ex ministro Bianchi rompe il silenzio: “Con questo sindaco sono stati sei mesi da incubo. Deve ancora fare qualcosa"

Urbanista e docente universitario, iscritto per anni al Partito Comunista e poi parte integrante del Pd. Ministro dei Trasporti nel secondo governo Prodi, il professor Alessandro Bianchi ha detto “addio” qualche anno fa alla politica, ed ha scelto di dedicarsi ai giovani e alla formazione. Dal febbraio del 2015 è il Rettore dell'Università  Telematica Pagaso. Romano di nascita, nel 2013 si lasciò tentare dall'avventura di candidarsi a sindaco della sua città. A distanza di oltre tre anni, e dopo l'esperienza  Marino, ha scelto Affaritaliani per fare un bilancio del primo semestre della giunta  M5S e riflettere sul futuro della Capitale.

 

di Valentina Renzopaoli

Professore, che ne pensa delle ultime ore della Giunta Raggi?
“Anzitutto che quello che è avvenuto nell’arco di soli sei mesi ha messo in evidenza un’incredibile impreparazione di fronte al problema di governare una città come Roma. Assessori che entrano ed escono dalla Giunta come attraverso i tornelli di un supermercato; alti dirigenti con discutibili storie alle spalle che restano incollati ai loro posti di potere; un cerchio magico che guida le azioni del Sindaco e neppure uno dei mille problemi che attanagliano Roma avviato a soluzione”.

Detto questo, lei pensa che il sindaco Raggi debba dimettersi?
A mio parere credo convenga riflettere ancora un pò prima di arrivare a questa conclusione, perché non possiamo continuare a chiedere ai cittadini romani di votare il loro Sindaco e poi mandarlo via per trame di palazzo (sequel della vicenda Marino). La Raggi ha commesso errori macroscopici nella costruzione della sua compagine di governo, ma il terreno su cui la dobbiamo misurare è quello della capacità di governare Roma, terreno sul quale dobbiamo ancora vederla al lavoro.
Nelle ultime ore ha dovuto allontanare altri due personaggi chiave della sua cerchia e altri si apprestano a subentrare. Sarà sufficiente per recidere definitivamente i fili che sembra l’abbiano legata a personaggi inquietanti del generone romano e a far sì che cominci ad occuparsi dei problemi di Roma?
Se sarà così diamole il tempo di cimentarsi con quei problemi e poi saranno i cittadini a giudicare.  Se così non sarà e sarà inevitabile che si dimetta, allora per Roma si prepara un ben triste scenario perché dovrà scegliere tra un partito (il M5S) che si è suicidato, un altro (il PD) che perde credibilità ogni giorno di più e un terzo (Meloni e dintorni) che evoca le pagine più oscure dell’amministrazione cittadina.

Professor Bianchi, facciamo due passi indietro. Urbanista, docente universitario e ora Rettore. Ma anche uomo politico per molti anni. E ora? Qual è il suo rapporto con la politica?
“E' un rapporto di cauta distanza. Per anni sono stato immerso nella politica, non solo nel periodo in cui sono stato al Governo ma anche negli anni successivi, nonostante provenissi da una formazione universitaria da urbanista. Sono stato nella direzione nazionale del Pd e mi sono occupato di problemi urbanistici e di rigenerazione dell'ambiente fino a quando ho capito che il mio lavoro non interessava. Così ho mandato una lettera all'allora segretario Epifani chiudendo con loro il mio rapporto. Da allora, a parte la breve ma entusiasmante e avventurosa esperienza della candidatura come candidato sindaco di Roma per le amministrative del 2013, contro lo stesso Pd, mi reputo un osservatore esterno.

Allora partiamo proprio dalla città che avrebbe voluto amministrare. Da “osservatore esterno”, come le sembra oggi Roma? E com'è cambiata negli ultimi anni?
“All'indomani dell'amministrazione Alemanno, quando decisi di candidarmi, Roma era una città allo stremo, provata in tutte le sue componenti, da quella del buon governo allo stato di salute fisico, dall'emarginazione delle periferie all'aggressione del traffico e dell'inquinamento. Difficile poter registrare, nella pur contorta storia di Roma, un periodo di peggiore. Ma quel che abbiamo visto dopo è tutt'altro che edificante. Mandare a casa con una firma dal notaio un sindaco, Ignazio Marino, che si stava muovendo nella direzione giusta su più fronti, sebbene con un modo di fare a tratti insopportabile, è stato un passaggio degradante. Il Pd romano peggio di così non si poteva comportare”.

Parliamo delle dimissioni dell'assessore Paola Muraro, non le sembra un segnale preoccupante?
“Sono terribilmente tardive: nel suo caso non si doveva pensare ad un allontanamento ma molto più semplicemente ad una non chiamata. Imbarcare una persona con un bagaglio di almeno dieci anni di rapporti con altre amministrazioni e personaggi discussi non è stata un buona mossa. Inoltre, finora non è stato dato nessun segnale rispetto al problema dello smaltimento dei rifiuti. La sindaca ci dica cosa vuole fare, perché non sta facendo nulla. Anzi la situazione, in tema di rifiuti, mi sembra persino peggiorata”.

Senta, in un pamphlet pubblicato dopo la sua candidatura intitolato “Progetto Roma”, lei ha scritto che “la prima cosa che va costruita è un'idea d'insieme della città, proiettata in una prospettiva lunga e che faccia da guida al suo crescere e trasformarsi”. Pensa che nel progetto della giunta Raggi ci sia un'idea di come vorrebbe sia Roma nel futuro? Esiste nel M5S un'idea sulla vocazione di questa città?
“Penso che non si sia mai stato nulla di simile. Il M5S ha vinto non sulla base di un'idea ma di un contrasto rispetto a quanto c'è stato prima, senza un'idea di cosa fare di questa città. Un'idea d'insieme a lungo termine sulla sua vocazione, sul suo sviluppo, è esattamente quello che manca. Nessuno di loro ha proposto un ruolo per una capitale mondiale, che vive a gomito con un'altra città mondiale come il Vaticano. Il risultato è che Roma è una città senza identità”.
A proposito di futuro: hanno fatto bene o male a dire No alle Olimpiadi del 2024?
“Per come si stava iniziando a lavorare, abbiamo fatto bene. Negli ultimi cinquant'anni, le Olimpiadi in pochi casi hanno avuto conseguenze positive. In altri casi sono stati addirittura disastrose come ad Atene. In un momento in cui la città è fragilissima, mettere in campo un meccanismo così imponente sarebbe stato pericoloso. Le Olimpiadi sono utili se c'è dietro un progetto sociale, se si progettano pezzi di città che poi sono destinati a rimanere come eredità. Quello che si era messo in moto era un meccanismo orchestrato da grandi operatori che faceva presagire il peggio”.

Scusi professore, ma se si dice di no a tutto, con quali strumenti e modalità si può far ripartire questa città?
“Fossi nei panni del sindaco non ci dormirei la notte. Roma non è una città industriale e mai lo sarà, è una città terziaria di tipo amministrativo che si sta indebolendo. A mio giudizio bisogna lavorare sull'innovazione, sul lavoro delle università e dei centri di ricerca, potenziale il settore delle telecomunicazioni. Puntare sulla mobilità, che è un problema cardine di Roma, con l'obiettivo di togliere dalla strada, da qui ai prossimi 10 anni, almeno un milione di veicoli. Tornare finalmente a parlare di “cura del ferro”, aumentare i tram e creare due linee che costeggiano le due sponde del Tevere. Ma soprattutto l'unica ricetta per rimettere in modo l'economia è strutturare progetti di  rigenerazione urbana”.

Parliamo del mercato dell'edilizia?
“L'edilizia è stata il motore in positivo e in negativo di Roma, un mercato fortissimo che però ha sempre puntata sull'espansione della città e che ha fatto la fortuna di proprietari terrieri e costruttori. La chiave ora è smettere di costruire altri pezzi di città e rigenerare quelli che già esistono. Non uso il termine ristrutturazione o restauro perché l'azione deve essere più ampia e imponente, realizzata anche con capitali privati, ovviamente guidati e stimolati”.

Rettore, molti la ricordano come Ministro dei Trasporti nel governo Prodi. E anche con un uomo per lungo tempo interno al Pd. Come ha vissuto l'ultimo periodo? Qual è stata la sua posizione rispetto alla battaglia referendaria?
“Al referendum ho votato “no”, come semplice cittadino. Ho deciso di non aderire a nessun comitato quando ho capito che propendere per il no avrebbe significato  avere a che fare con personaggi di aree culturali milioni di chilometri lontane da me. E da cittadino non posso non osservare che questo risultato. In una misura che nessuno si aspettaca, è il risultato di un comportamento del premier e segretario del Pd. A mio giudizio, la stragrande maggioranza di quel 60% che ha detto no, non si è espresso sulla riforma costituzionale ma contro un modo di fare politica e un comportamento arrogante e aggressivo. E' stato un voto di protesta”.

Ma con lo stesso ragionamento si può ribattere che dalla parte di Renzi sta quel 40% di cittadini che ha votato “si”?
“Non sono d'accordo: nonostante le divisioni, il popolo del Pd ha obbedito seppure “torto collo”, obbedendo alla richiesta del suo leader; e a loro si è aggiunto un mondo che preferiva la continuità, da quello bancario a quello industriale, impaurito giustamente dal vuoto di potere”.

Cosa pensa di Gentiloni premier?
"Gentiloni è una bravissima persona, ultranavigata, di toni molto differenti rispetto a Renzi, un mediatore”.

Diciamo un democristiano?
“Di primo stampo, anche se i suoi inizi sono stati diversi. Se non intendiamo “democristiano” uno con la tessera della DC ma un modo ci concepire i rapporti, sì lo è, così come lo è questo governo. Gentiloni è un politico che si è assunto il compito di ammettere la necessità di essere immolato per la causa”.

Quando pensa che si andrà a votare?
“L'ipotesi più probabile è che si voti a giugno, ma sono convinto che alla fine si farà il salto della quaglia fino a metà settembre, per i motivi che conosciamo”.