Roma
Ma come si riproducono i puffi? Il dubbio. Mille riposte ai "leoni della tastiera"
L'intervista. Marco Capretti e il suo libro sulle domande della rete
di Alessandra Pesaturo
Domande bizzarre e risposte ancora più assurde, che sono diventate a loro insaputa battute comiche e veri e propri tormentoni. Stiamo parlando di “Ma come si riproducono i puffi”, il libro scritto dal comico di Made in Sud Marco Capretti con la collaborazione di Gianluca Irti. Duecento pagine edite da Rai Eri, graficamente rielaborate 2.0 come se si sfogliasse un tablet, raccolgono i quesiti e le risposte, che il popolo della rete ama postare su “Yahoo! Answers”. Capretti le ha scelte, rese più audaci e feroci, perfezionate e sperimentante nei suoi spettacoli. Quel piccolo patrimonio di comicità, specchio delle umane ossessioni, è rimasto per anni chiuso in un cassetto fino al giorno in cui si è trasformato in un libro.
Allora Capretti, come è stato concepito questo libro?
“Questo libro è frutto involontario di un lavoro di tanti anni di sperimentazione. Per i miei spettacoli e per le varie edizioni di Made in Sud, sono costantemente alla ricerca di qualcosa di nuovo da raccontare nei monologhi. L'ispirazione la trovo sui giornali, nella vita di tutti i giorni e in rete. Negli ultimi sei, sette anni ho scritto tanti copioni, in molti dei miei monologhi di successo ho inserito le domande buffe e demenziali che vengono condivise da milioni di utenti in Yahoo! Answers . Quando mi hanno proposto il progetto di un libro con Rai Eri, non ho dovuto fare altro che aprire il cassetto, raccogliere tutte le mie scartoffie, selezionare e trovare un titolo”.
Allora Marco, che tipo di libro è?
“E' un libro molto divertente. Ho voluto che il lettore sfogliando ogni pagina avesse l'impressione di fare un accesso in rete, per questo ho pensato di ricostruire la grafica dei tablet. Inoltre nel primo capitolo mi sono sbizzarrito in una parte narrativa, mi sono divertito a fare una ricostruzione dell'umanità, dai tempi di Adamo ed Eva ad oggi, pensando in quali domande si sarebbe cimentata se ci fosse stato già internet”.
Il titolo del libro è molto strano, come lo ha scelto?
“Quando ho finito di scrivere e assemblare il libro tra le tante domande bizzarre che avevo selezionato per la versione definitiva - Ma come si riproducono i puffi - mi è sembrata la più demenziale e accattivante”.
Tra le migliaia di domanda selezionate, ce n'è una che le è piaciuta in particolare?
“In realtà, sono veramente tante e divertenti, mi è difficile sceglierne una. Tuttavia quella sui cantanti la trovo molto carina. C'è uno che ha chiesto se Marco Carta fosse il figlio di Riccardo Fogli. E la risposta è stata, assolutamente si! Pensa che Jovanotti è figlio di Vecchioni. Ovviamente ad una domanda sciocca, segue una risposta altrettanto sciocca, perché la gente si diverte a prendersi in giro”.
Invece quale domanda riscuote più successo durante i suoi spettacoli?
“Ma secondo voi, un mille piedi come si fa a riconoscere se è femmina? La risposta è: se alza cinquecento piedi allora è maschio! Questa la ripropongo spesso perché diverte me per primo e riscuote ogni volta tante risate”.
Secondo lei chi sono i cosiddetti “leoni da tastiera” che scrivono queste domande e queste risposte?
“Persone comuni. Dietro la tastiera si gioca molto, e spesso ci si trasforma in burloni. Si prendono in giro gli altri, ci si prende in giro. Il fatto che si agisca in anonimato è liberatorio, molti che nella vita fanno lavori seri e compassati hanno voglia di momenti di leggerezza ed in rete si sbizzarriscono”.
I social stanno rendendo virale la comicità con battute e tormentoni. Considera questi mezzi un buon veicolo di comunicazione?
“Guardi gioie e dolori. Le spiego, io sono impegnato giornalmente su social come FB, Twitter, Instagram, perché mi piace il contatto diretto, mi piace interagire personalmente con le persone che mi chiedono l'amicizia, che mi scrivono. Inoltre a mio avviso, è diventato il mezzo di comunicazione più semplice per segnalare la mia presenza nei teatri e nelle serate. Questa forma di pubblicità diretta mi permette di portare più pubblico in sala e questo è molto positivo. Dolori perché purtroppo, quando ti ritrovi i tuoi monologhi storici, fatti da altri comici che si sono appropriati del tuo lavoro, capisci in questo caso, che la rete è deleteria”.
Una volta si diceva: se non appari in tv non esisti, oggi è il caso di dire se non sei sui social non esisti?
“Sì in effetti, oggi passiamo tanto tempo in rete e la definizione potrebbe essere calzante. Io non crede sia necessario stare sui social per tutti. Lo è invece per un personaggio pubblico un cantante, un attore, un modello, un politico. La visibilità che ti offre internet, ti da la possibilità di farti conoscere, di farti apprezzare oltre che per quello che fai, anche per che tipo di persona sei. Noi ci siamo innamorati della comicità di tanti personaggi perché li abbiamo visti in Tv. Prendi il caso di Verdone quando portava in televisione i suoi monologhi, ci siamo innamorati di lui e lo abbiamo seguito anche al cinema. La rete, oggi affianca e supporta la Tv. E' un mezzo che può darti popolarità anche improvvisa, ma poi se non hai le carte in regola, tutti i nodi vengono al pettine. Vede, le pillole del barzellettiere di turno o di chi fa i video più virali, rischiano di rimanere eventi isolati se non hai una professionalità alle spalle, se non hai studiato recitazione. Quindi per me, visibilità non fa rima con professionalità”.
Esistono tanti tipi di comicità, qual è la sua?
“La mia è una comicità di situazione non di battuta. Io cerco di non essere mai volgare, non mi piace far ridere con la volgarità e le parolacce, con questo però non voglio stigmatizzare chi lo fa. Il mestiere del comico è quello di far ridere e quindi alla fine qualunque mezzo è lecito per strappare una risata. Nei miei monologhi adoro lavorare sul sociale, affrontare temi di attualità, tematiche che sono più vicine alla gente. Le ironizzo all'estremo e la gente fortunatamente ride”.
Prima di arrivare al successo televisivo, che percorso ha fatto?
“Ho iniziato nei villaggi turistici dove ho imparato l'arte della faccia tosta, il contatto con la gente, a risolvere qualsiasi imprevisto avviene su un palcoscenico. Poi ho fatto tante serate, la radio, il teatro, la tv ed infine sono anni ormai che faccio parte del cast fisso di Made in Sud, sono arrivato a quota 73 puntate un bel record. Raccontato così sembra tutto semplice, ma tradotto significa anni di sacrifici e tanta gavetta”
Lei è autore dei suoi monologhi?
“Sì, scrivo i miei testi. Deve sapere che sono una persona curiosa mi piace leggere di tutto per trovare l'ispirazione. Comunque collaboro anche con degli autori, un supporto necessario per mettere a punto pezzi sempre nuovi e divertenti. Nel lavoro sono molto pignolo, prima di portare i miei monologhi in Tv, li provo e li riprovo nei live per vedere se il pubblico ride, poi mi confronto con altri autori, finché non sono perfetti”.
Che ruolo le piacerebbe interpretare al cinema?
“Al cinema ho lavorato nel penultimo film di Carlo Verdone - Sotto una buona stella - era la prima volta che mi cimentavo sul grande schermo e per me è stato un onore. Io come tutti i romani amo Verdone. Ti confesso che lavorare al cinema è come una droga, ti lascia con l'acquolina in bocca. Per quanto riguarda i ruoli ti stupirò, mi piacerebbe fare il cattivo, forse perché sono una persona estremamente buona, ma anche per mettermi in gioco a 360 gradi. E poi sarebbe la prova più difficile per me e quindi la più eccitante. Ad esempio fare il cattivo in una serie come Gomorra sarebbe il massimo”.
Quanto le piace il suo lavoro?
“Io dico sempre questo: è il mestiere più bello del mondo e poi è sempre meglio che lavorare!”.