Roma
Mafia Capitale, Buzzi e Carminati non sono mafiosi. Er Cecato “mito mediatico”
“Nessuna connessione diretta con gli eredi della Banda della Magliana”
di Patrizio J. Macci
Tremiladuecento pagine per argomentare le motivazioni che giustificano la sentenza di primo grado del processo “Mafia Capitale”. “Il tribunale non ha individuato alcuna mafiosità”.
Perché ci sia il metodo mafioso infatti "devono sussistere tre requisiti, specifici, tutti e tre necessari ed essenziali": la forza d'intimidazione, l'assoggettamento e l'omertà. Questi tre elementi non sono stati riscontrati dai giudici.
Il sodalizio criminale non aveva una connessione diretta con gli “eredi” della Banda della Magliana, gruppo criminale organizzato e dedito ad attività criminali particolarmente violente e redditizie (il traffico e lo spaccio di droga, il gioco d'azzardo, le usure e le estorsioni, il possesso di armi e gli omicidi per assicurarsi il controllo del territorio) che ha operato nella città di Roma, ramificandosi pesantemente sul territorio, oltre 20 anni fa, tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Novanta “ma esclusivamente dalla figura di Massimo Carminati".
Il punto di collegamento "tra i due gruppi criminali di 'Mafia Capitale' e la Banda della Magliana, è rappresentato "dalla sola persona del “cecato”, destinatario - per l'importanza delle vicende giudiziarie in cui e' stato coinvolto e per l'interesse mediatico che le ha accompagnate - di una notevole e duratura fama mediatica, che ne ha consolidato l'immagine e gli ha creato intorno un alone di inafferrabilità: per essere sopravvissuto; per aver riportato, per quelle vicende, condanne complessivamente modeste; per essere andato assolto da alcune gravi imputazioni".
Carminati è stato oggetto infatti di una narrazione che lo ha visto oggetto di reportage, inchieste, libri e film. Scrivono i giudici: "Fama a parte, l'esistenza di un collegamento soggettivo non significa, pero', automatico ripristino o prosecuzione del gruppo precedente: non e' sufficiente l'intervento di Carminati, 'erede della Banda della Magliana', a stabilire un rapporto di derivazione tra detta Banda e successive organizzazioni in cui Carminati si trovi coinvolto".
L'articolo 416 bis del codice penale, cosi' come concepito dal legislatore, richiede "l'attualità e la concreta operatività del metodo mafioso".
Ebbene, la mafiosità cui più volte hanno fatto riferimento i pm della Procura di Roma nel processo al 'Mondo di Mezzo', "non e' quella recepita dal legislatore nell'attuale formulazione della fattispecie di cui all'articolo 416 bis del codice penale per la quale non e' sufficiente il ricorso sistematico alla corruzione ed e' invece necessaria l'adozione del metodo mafioso, inteso come esercizio della forza della intimidazione". Tra le due holding criminali protagoniste del 'Mondo di Mezzo', quello che, avendo la base operativa presso il distributore di benzina di Corso Francia, vedeva partecipi Massimo Carminati, Riccardo Brugia, Matteo Calvio e Roberto Lacopo e l'altro, operante nel settore degli appalti pubblici, di cui "debbono essere ritenuti partecipi Salvatore Buzzi, Luca Gramazio, Fabrizio Franco Testa, Gaglianone, Franco Panzironi, Nadia Cerrito" ed altre otto persone, tra cui gli stessi Carminati e Brugia vi era un “semplice” sodalizio criminale e nessuna associazione di stampo mafioso.
"Conclusioni obbligate - si legge ancora - quelle del tribunale (si tratta, peraltro, dello stesso collegio giudicante che nel 2015 riconobbe la mafiosità del clan Fasciani di Ostia), sia per la attuale formulazione dell'art. 416 bis cp, sia per l'impossibilita' di interpretazioni talmente estensive di tale norma da trasformarsi - con violazione del principio di legalità - in vere e proprie innovazioni legislative, che rimangono riservate al legislatore”.