Roma
Mafia Capitale, Buzzi promette uno show. Da Letta ai prefetti, i vertici dello Stato a deporre
di Valentina Renzopaoli
Centomila carte processuali, decine e decine di migliaia di intercettazioni telefoniche, cinquantanove imputati alla sbarra: fra trenta giorni si accendono i riflettori sul maxi processo Mafia Capitale. Si parla di tre udienze a settimane almeno fino a gennaio nell'aula bunker di Rebibbia. L'avvocato Alessandro Diddi, legale di Salvatore Buzzi, secondo la Procura uno dei due promotori dell'associazione di stampo mafioso che operava a Roma e nel Lazio, sceglie affaritaliani.it per analizzare il quadro processuale e anticipare le linee strategiche.
Avvocato Diddi, innanzitutto come sta il suo cliente, detenuto nel carcere di Nuoro in regime di 416 bis ormai da quasi dieci mesi?
“Carico e pronto a combattere”.
Entro la fine di ottobre dovranno essere presentate le liste dei testimoni: la sua a che punto è?
“E' praticamente pronta e comprende circa 250 persone”.
Ci anticipa qualche nome?
“Chiameremo a testimoniare molti nomi noti, tra cui il presidente della Regione Nicola Zingaretti, il sindaco di Roma Ignazio Marino, l'ex sindaco Gianni Alemanno, l'attuale Prefetto Franco Gabrielli, gli ex Prefetti Giuseppe Pecoraro e Mario Morcone, e l'ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. D'altra parte, visto che la Procura ritiene che il mio cliente, insieme agli altri imputati, abbiamo condizionato con metodi non ortodossi la pubblica amministrazione, noi chiameremo davanti al giudice i rappresentanti e i vertiti della pubblica amministrazione per chiedere se ritengono che ci siano stati condizionamenti. Certo, non posso escludere che qualche funzionario possa avere sfruttato il ruolo che ricopriva a sui favore, ma è tutto da dimostrare di quale reato si sia trattato”.
I numeri di questo processo si preannunciano impressionanti: ha fatto il conto delle intercettazioni che dovranno essere analizzate?
“Parliamo di almeno 100mila contatti telefonici: 3.600 ore di intercettazioni solo per quello che riguarda il mio cliente dal settembre 2012 al dicembre 2014. Un grosso problema anche perché fino ad ora le intercettazioni non sono state disponibili: la Procura ha comunicato ai legali delle difese che sarà allestita una apposita sala per l'ascolto. Iniziativa che ritengo assolutamente inutile. Anzi, ho già inoltrato la richiesta affinché il mio assistito possa essere messo nella condizione di ascoltare in prima persona le telefonate intercettate. Richiesta che corrisponde al principio dettato dall'articolo 6 della Convenzione Europea per i Diritti dell'Uomo, secondo il quale un accusato ha il diritto di difendersi personalmente e il presupposto fondamentale perché lo faccia è quello di potersi documentare. E poi c'è un altro problema”.
Quale?
“I costi esorbitanti: fino ad ora solamente per acquisire le carte processuali e senza contare i file audio, abbiamo speso tra i 10 e i 15mila euro. Numeri che rischiano di inficiare la possibilità di difendersi”.
Lei ha chiesto due volte il patteggiamento: non si aspettava il no della Procura? Perché questa scelta?
“Il no era assolutamente scontato ma la richiesta è parte di una strategia difensiva: la Procura ritiene che l'indagine “Mondo di Mezzo” abbia fatto emergere un sistema mafioso, io non la penso così e sono portato a ritenere che un Tribunale sereno potrebbe in futuro escludere questa ipotesi. Qualora ciò accadesse, dandomi ragione, potrei a quel punto avere diritto al patteggiamento, beneficiando della pena che ho chiesto. E che potevo richiedere solamente in questa fase processuale. Insomma, è come giocare una partita a scacchi”.
La Procura ha chiuso le indagini sull'ex sindaco Gianni Alemanno, che ora rischia il processo per corruzione e finanziamento illecito. Ma sembra decaduta l'accusa di associazione mafiosa. Come interpreta questa decisione?
“Il fatto che la Procura abbia ritenuto neanche ipotizzabile l'aggravante mafiosa per Alemanno, che è considerato uno dei punti di riferimento di Buzzi, è per noi fatto molto significativo. Vuol dire che questa associazione non aveva esteriorizzazioni così palesi del suo illecito agire”.
Tuttavia avvocato, la Procura, che ritiene Alemanno un complice di Buzzi, non avrebbe creduto alla sua versione dei fatti, secondo la quale l'ex sindaco sapesse poco o nulla dei soldi che transitavano attraverso Panzironi.
“Bisogna ricostruire la tipologia dei rapporti: Panzironi è senza dubbio uomo di Alemanno, alla guida della Fondazione Nuova Italia che faceva capo all'ex sindaco e Buzzi ha versato somme di denaro alla Fondazione e ha consegnato somme di denaro in contanti a Panzironi. Ora il punto è: Alemanno cosa e quanto sapeva? Dei versamenti in chiaro, secondo noi, sapeva tutto, di quelli in nero versati attraverso Panzironi, Buzzi ha detto che Alemanno non era a conoscenza. La Procura non ha creduto a Buzzi. Ma mi domando per quale ragione Buzzi non avrebbe dovuto riferire una circostanza che conosceva visto che ha avuto il coraggio di fare nome ben più rilevanti facendo scoppiare, ad esempio, il caso dei Cara di Mineo”.
Avvocato Diddi, quali sono, a suo parere, i punti deboli della tesi accusatoria?
“Siamo di fronte ad un'ipotesi assolutamente inedita nel panorama giurisprudenziale. Paradossalmente, per dimostrare l'inconsistenza dell'aggravante mafiosa che ci viene imputata partiremo proprio da una sentenza che afferma l'esistenza della mafia a Roma: la recente sentenza Fasciani. In questa sentenza l'esistenza della mafia è sostanziata da diversi elementi: il controllo serrato del territorio e dell'attività economica da parte del clan, l'utilizzo delle armi, l'intimidazione e la violenza a danno di chi non sottosta alle regole. Nella montagna di intercettazioni che riguardano Salvatore Buzzi tutto si può trovare fuorché atteggiamenti di intimidazioni verso gli altri”. E aggiungo una cosa..."
Dica avvocato...
"Il dottor Pignatone e il dottor Prestipino, ai quali va la mia immensa stima e rispetto, negli ultimi mesi hanno scritto su questa materia testi e capitoli di libri che si occupano di mafia e loro stessi hanno ribadito che per confinare il reato mafioso occorrono segnali che sono stati be delineati dalla sentenza Fasciani. E quando, sia pur anonimamente, hanno fatto riferimento al processo Mafia Capitale, hanno dovuto richiamare brani di intercettazione che non si riferiscono mai a Buzzi, né a condotte e rapporti da lui intrattenuti.
Eppure avvocato, lo scorso aprile la Cassazione ha rigettato il vostro ricorso, confermando l'impianto accusatorio. Quanto può influire sull'andamento del processo questa sentenza?
La sentenza della Cassazione è il cavallo di battaglia della Procura ma secondo me non sarà spendibile. Anzitutto perché fa riferimento ad un quadro, quello del dicembre 2014, che dipinge scenari non più attuali e che tiene conto di un contraddittorio mutilato. Basta pensare che, all'epoca, in pochi giorni le difese hanno dovuto smaltire diverse decine di migliaia di pagine. Oggi, inoltre, il materiale probatorio si è arricchito dei numerosi contributi difensivi, penso in particolare alle dichiarazioni di Salvatore Buzzi, che hanno introdotto una chiave di lettura del tutto diversa da quella ipotizzata dalla Cassazione e, cioè, che Buzzi avrebbe tenuto le leve della pubblica amministrazione.
Il 20 ottobre un primo assaggio di Mafia Capitale con il processo abbreviato per cinque indagati, tra cui l'ex dg di Ama Giovanni Fiscon?: cosa pensa di questa scelta processuale?
“E' una scelta coraggiosa che io non avrei mai fatto. Farsi giudicare sulla base di carte costruite da ufficiali giudiziari che ritengono esista la mafia in ogni piega del territorio romano, significa fare un gesto di grande coraggio, verso il quale ho molto rispetto. Si tratta di strategie: può accadere che un cliente abbia in mano prove determinanti e che quindi non valga la pena subire un processo che si preannuncia lungo e con una visibilità mondiale”.