Roma
Mafia Capitale, i nomadi chiedono i danni. Presentate 55 costituzioni di parte civile
di Valentina Renzopaoli
Quasi dieci ore di udienza, cinquantacinque costituzioni di parti civli, sessanta avvocati, centinaia di persone ad affollare l'aula più grande di piazzale Clodio, decine di giornalisti e telecamere pronti a immortalare l'inizio del processo del secolo. Alla fine solo una, quella della Rai, ha potuto registrare il complicatissimo avvio del maxi processo Mafia Capitale, perfettamente diretto dal presidente della X sezione penale del Tribunale di Roma, Rosanna Iannilli, nonostante il duro scontro tra piemme e difensori che ha inaugurato quella che si profila come una battaglia dai lunghi coltelli. Durante una delle tre camere di consiglio in cui si è ritirato a decidere il collegio è stato stabilito che il processo potrà essere sì ripreso televisivamente, ma solo da una telecamera della tv pubblica nazionale, che sarà tenuta a girare le immagini anche alle altre televisioni che ne faranno richiesta. E comunque non si potrà trasmetterle in diretta. Tutto a partire dal 17 novembre nell'aula bunker del carcere di Rebibbia: la prossima udienza è slittata di ben otto giorni rispetto al fittissimo e rigidissimo calendario inizialmente proposto.
La valanga di carte presentate ha costretto il Tribunale ad acconsentire alle richieste dei difensori. Cinquantacinque le richieste di costituzione di parti civili, che raccolgono oltre un centinaio tra istituzioni, aziende pubbliche, associazioni, fondazioni, cooperative, persone fisiche e gruppi di cittadini e di extracomunitari. Un'operazione che ha richiesto oltre due ore e mezza.
In cima alla lista Comune di Roma, Regione Lazio, Ministero dell'Interno, Associazione Libera, Associazione Antonio Caponnetto, Cittadinanzattiva Onlus, Camera di Commercio di Roma, Ama Spa, Comune di Sant'Oreste, Eur Spa e Legambiente e Confindustria. Segue una lunga serie di associazioni che si occupano di lotta alla mafia e al racket ta cui: Associazione antimafia e antiracket Paolo Borsellino, Fondazione Antonio Caponnetto di Firenze, Associazione nazionale vittime usura e racket, Ambulatorio Antiusura Onlus di Roma, Associazione Dasud, Cittadini contro le mafie e le corruzioni, Associazione nazionale antimafia Alfredo Costa, Fai antiusura Ostia Volare Onlus, Fai federazione antiracket italiana, Assoutenti, Codici Lazio, Forum Antiusura. Decine anche le associazioni dei consumatori a partire dal Codacons, Movimento Consumatori, Movimento Difesa del Cittadino, Assoconsum, Confconsumatori, Associazione Uils, Legambiente, Codici, Casa del Consumatore, Assoutenti. Hanno richiesto lo status per poter chiedere i danni anche il Partito Demoratico e due esponenti del Movimento 5 Stelle, la parlamentare Roberta Lombardi e il capogruppo capitolino Marcello De Vito, il consigliere radicale Riccardo Magi. Ancora la lista si allunga con cittadini e extracomunitari: ci sono persono 37 nomadi residenti nel campo di Castel Romano e diverse persone finite nel meccanismo dell'accoglienza romana, oltre a minori stranieri e rifugiati politici.
Le cooperative gestite da Salvatore Buzzi, che avevano largamente annunciato la loro presenza sono state prese in contropiede da una mossa magistrale dell'avvocato Alessandro Diddi: erano arrivate al mattino pronte a presentare richiesta di costituzione di parte civile, sono uscite dall'aula con il nuovo status di “civilmente obbligato”. Le quattro cooperative Eriches 29, Società Cooperativa 29 giugno, Cooperativa Sociale 29 giugno, Formula Sociale saranno infatti chiamate a rispondere delle pene pecuniarie qualora Salvatore Buzzi, Emanuela Bugitti e Alessandra Garrone, dovessero essere condannati per i reati che prevedono pene pecuniarie e qualora fossero insolventi. Con il colpo da stratega del Foro l'avvocato Diddi ha letteralmente catapultato le parti, richiedendo che le cooperative per le quali lavoravano i suoi assistiti venissero citati come civilmente obbligati, così come previsto dall'articolo 197 del codice penale. Una mossa che nessuno si aspettava, tanto che i legali rappresentanti presenti in aula, hanno dovuto rinunciare al termine di legge di trenta giorni per accettare la notifica, poiché in caso contrario, il processo si sarebbe dovuto interrompere fino ad avvenuta notifica.
Il campanello d'inizio poco prima delle dieci: quaranta minuti per fare l'appello degli imputati e dei relativi difensori, tra quelli presenti in aula e quelli collegati in videoconferenza dal carcere di Rebibbia e di altri quattro istituti penitenziari italiani. Poi, da subito, i fuochi d'artificio con l'avvocato Giosuè Bruno Naso, difensore del boss Massimo Carminati, del braccio destro, o meglio dell“occhio destro” del “ciecato”, come lui stesso ha detto, Riccardo Brugia e del sodale Franco Testa che ha attaccato in modo diretto e senza mezzi termini l'impianto accusatorio orchestrato dai tre pm Paolo Ielo Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli: “Un processetto dopato da una campagna mediatica giornalistica giudiziaria, con finalità precise e una precisa regia” caratterizzato già dalle fasi che lo hanno preceduto da “prassi distorsive” che “ledono il diritto di difesa degli imputati”. Non contento, l'affondo al Tribunale e al suo presidente Rosanna Iannilli, accusata di aver emesso un provvedimento, quello del 28 ottobre scorso, “pretestuoso e studiato” che ha creato una disparità tra detenuti di serie A e detenuti di serie B. “Con questo provvedimento ha dimostrato a differenza del solito, di sottrarsi alle proprie prerogative adeguandosi pedissequamente ad un parere del pm” ha tuonato l'avvocato Naso nella sua prima “apparizione”.
Non si è lasciato affatto intimidire Giuseppe Cascini, uno dei tre “moschettieri” che ha risposto alla sfida senza mezze misure: “Tutti i processi sono seri, tutti gli imputati vanno rispettati e non penso sia elegante chiamare “processetto” questo processo, io non mi esprimerei mai con questi termini, è una questione di stile”. E poi: “Non ho l'abitudine di dire a tutti i presidenti di tribunali che incontro che sono i migliori” riferendosi ad una ostentata “sviolinata” dell'avvocato Naso verso la presidente Iannilli.
Sotto accusa da parte delle difese la decisione sull'assenza di tre dei quarantasei imputati dall'aula: Salvatore Buzzi, Riccardo Brugia e Franco Testa infatti dovranno partecipare attraverso videoconferenza dalle rispettive carceri di Tolmezzo, Terni e Napoli Secondigliano. Massimo Carminati rimarrà a Parma, come stabilisce la legge, poiché è detenuto in regime di 41 bis. Una decisione che, secondo la difesa, vìolava l'articolo che garantisce l'intervento e l'assistenza dell'imputato nel dibattimento, ma che è stato invece confermata dal Tribunale.