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Roma
Mafia Capitale, il guercio Carminati picchia sui giudici: “A me niente morale”

di Patrizio J. Macci

Massimo Carminati detto “Er Cecato”, star indiscussa del processo “Mafia Capitale” considerato il re di Roma per la spiccata capacità di tessere ragnatele di malaffare, collegato in videoconferenza dal carcere di Tolmezzo dove è rinchiuso nella zona “ad alta sicurezza” conferma la sua fama di irriducibile e in una dichiarazione spontanea non smentisce nulla del suo passato di criminale: "Non rinnego nulla della mia vita. La mia vita è stata quello che è stata, ho sempre pensato che è meglio avere una idea sbagliata che nessuna idea, come tanti adesso".

Poi rincara la dose affermando: “Non posso rinnegare i miei amici così faccio contento il dottor Tescaroli (uno dei pubblici ministeri del processo ), che ogni tanto tira fuori argomenti che, secondo me, sono fuori dal processo. Il mio punto di vista è che lui può anche chiedere l'ergastolo per me, è un suo diritto e io ammiro anche la sua cattiveria professionale. Ma non può farmi la morale". A centinaia di chilometri di distanza attraverso i monitor la sua immagine appare nella gigantesca aula bunker di Rebibbia durante l’udienza, e sembra di seguire i movimenti dei grandi capimafia di Cosa nostra raccontati da Mario Puzo oppure visti sullo schermo nella finzione cinematografica o televisiva. Carminati parla, argomenta e contrappone la sua visione dell’esistenza a quella dei magistrati che vorrebbero insegnargli qualcosa su come si vive: "La mia vita è stata la mia vita, l’ho pagata, non mi sono lamentato quando mi hanno sparato in faccia. Mi hanno abbattuto in mezzo alla strada da disarmato. Non mi sono mai permesso di fare la morale a nessuno, non mi sono neanche costituito parte civile nei confronti degli agenti perché ho riconosciuto il loro diritto di poterlo fare in quegli anni".

Poi conclude con l’affondo finale: “Io sono stato vittima per anni di leggende metropolitane ma ho sbagliato, perché dovevo confutare queste cose una volta per tutte”. Riferendosi all'inchiesta sull'omicidio del banchiere Roberto Calvi, condotta dal pm Luca Tescaroli, Carminati ha sottolineato: "Nel 2010, mi sono svegliato una mattina e sui giornali ho letto di essere l’esecutore materiale del delitto a Roberto Calvi. Ma a quel tempo ero detenuto, e se non lo fossi stato probabilmente sarei stato processato anche per quel delitto". Duro e puro Carminati non depone le armi, non ha un attimo di cedimento umano. Raccontano i bene informati che in carcere riceve centinaia di lettere dai suoi sostenitori. Perché uno come Carminati ha pure chi lo sostiene e lo eleva  a modello di vita. Ma chi sta “fuori” deve sapere che l’uomo che uscirà dal carcere sarà lo stesso che è entrato. Carminati paga i suoi conti ma non volta pagina.

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