Roma
Mafia Capitale, il “processo mediatico” s'è già sgonfiato. La denuncia
di Valentina Renzopaoli
Legale dell'imputato Agostino Gaglianone, ritenuto l'uomo chiave dei rapporti tra la pubblica amministrazione corrotta e il mondo dell'imprenditoria legato al sodalizio criminale, Valerio Spigarelli definisce il processo storico Mafia Capitale lacunoso e caratterizzato da numerose “stravaganze” che ne rendono l'iter processuale farraginoso, mastodontico per la mole dei materiali, ma già sgonfiato dal punto di vista mediatico. A quattro mesi dal debutto, il 5 novembre scorso, l'ex presidente delle Camere Penali, sceglie affaritaliani.it per fare un primo bilancio e parlare di un processo teatro di un attacco senza precedenti alla libertà degli avvocati e di una stampa fantasma incapace di fornire un'informazione corretta.
Avvocato Spigarelli, il maxiprocesso Mafia Capitale ha già compiuto quattro mesi: che tipo di giudizio si sta profilando secondo lei?
“Un processo fondato quasi esclusivamente sulle intercettazioni, con numerose lacune investigative e diversi “bachi” processuali che ne corrodono il percorso. Poi, e non un dettaglio, un processo nel quale si sta consumando uno scontro senza precedenti tra stampa e avvocatura”.
Andiamo per ordine: a che punto siamo con la trascrizione delle circa 5mila intercettazioni nelle mani dei venti periti?
“Una parte sono state trascritte, ma a quelle iniziali se ne sono aggiunte altre centinaia: una montagna di intercettazioni che le difese sono impossibilitate a conoscere nella loro totalità”.
Per quale motivo?
“Perché la Procura fornisce copia solo di quelle che si intendono utilizzare. Ma come si fa, secondo lei, a individuare quelle da utilizzare se non si può fare una selezione? Per ascoltarle tutte, senza eccezioni, gli avvocati del collegio difensivo, dovrebbero recarsi nella sala ascolto della Procura, praticamente impossibile. Abbiamo fatto presente che l'impossibilità di ascoltare tutte le intercettazioni si traduce anche in una limitazione rispetto alle indicazioni dei temi di prova e delle liste testimoniali e il tribunale ha concesso la possibilità di prorogare i termini per indicare altre testimonianze da aggiungere a quelle che abbiamo già indicato, ma il tempo e il modo per studiare tutto il materiale non lo avremo. E qui una seconda stravaganza”.
Quale?
“Quella che riguarda la modalità, assolutamente singolare, di esame dei testi. In questi primi quattro mesi stiamo procedendo con una prima tornata di esami, cui seguono i controesami, che però non terminano, perché quasi tutte le difese hanno chiesto e ottenuto di poter fare i controesami veri e propri solo quando tutte le intercettazioni saranno trascritte. Dunque: esami, controesami, poi si concluderà l'esame e dopo ancora un altro controesame, con una duplicazione molto discutibile dello schema della cross examination. Peraltro, le produzioni documentali del pm evidenziano che le investigazioni sono ancora in corso, tanto è vero che alcune di esse sono targate febbraio 2016. Direi che come immediato cautelare, tra intercettazioni non verificabili e investigazioni in corso, è un ossimoro ambulante”.
Senta avvocato, in più di un'occasione il collegio difensivo ha fatto emergere nel corso delle deposizioni, lacune investigative e incongruenze. Mi può spiegare, secondo lei, quali sono i limiti di questa inchiesta?
“Più che di lacune, parlerei di veri e propri “bachi”. Questo è un processo in cui le intercettazioni telefoniche sono ritenute “autoevidenti”.
Che significa scusi?
“In molti casi non sono state fatte le indagini che dovrebbero suffragare la bontà di quello che emerge durante le conversazioni intercettate. Insomma, si ritiene autoevidente un fatto solamente perché i soggetti ne parlano, a prescindere dal fatto che sia mai successo. Le parole degli intercettati vengono prese come sintomo della capacità criminale della consorteria per il solo fatto che siano state pronunciate, anche quando sono smentite dai fatti”.
Spigarelli quali sono, ovviamente a suo giudizio, gli elementi principali emersi finora in questo processo di mafia?
“A mio giudizio, se si doveva dimostrare che siamo di fronte ad un'associazione che condiziona in qualche misura la vita della pubblica amministrazione, francamente non penso che fin qui ci sia stata dimostrazione di questo. A me non pare che fino adesso i testimoni che hanno sfilato abbiamo dimostrato quello che la Procura sperava, in alcuni casi in particolare. Il problema è che nessuno lo sta raccontando”.
Cosa vuole dire?
“Voglio dire che attorno a questo processo, partito con uno dei processi più fortemente mediatici degli ultimi anni, in realtà c'è un'informazione “embedded”, e già gli faccio un complimento. Quello che sta accadendo dimostra ancora una volta che si scatena grande attenzione nei confronti dei grandi processi prima che siano tali, ma poi quando iniziano la stampa in realtà non li segue”.
E' una critica nei confronti del lavoro di noi giornalisti?
“Le racconto solo quello che vedo: una zona riservata ai giornalisti all'interno dell'aula bunker di Rebibbia praticamente vuota e alcune cronache sui giornali scandalose”.
Ossia?
“Mi è capitato di leggere cronache di fatti non avvenuti in aula: articoli che riportano non ciò che il testimone ha detto davanti al tribunale, bensì quello che era stato scritto due anni prima sull'informativa; insomma invece di raccontare il processo si riporta per l'ennesima volta quello che c'è scritto nell'ordinanza di custodia cautelare piuttosto che nell'informativa; e questo non mi sembra un buon servizio all'informazione, anche perché il processo dovrebbe servire proprio a verificare se quello che c'è scritto nell'informativa è convincente oppure no, vero oppure no”.
Il processo è stato teatro di alcune esternazioni molto pesanti da parte di uno dei legali più in vista, l'avvocato Giosuè Bruno Naso, che ha attaccato il procuratore Pignatone e il giornalista Lirio Abate. Parole che hanno sollevato polemiche anche all'interno della stessa Camera Penale. Qual è la sua posizione?
“La mia opinione è che si sia voluta strumentalizzare questa occasione per lanciare un attacco fortissimo alla libertà di parola degli avvocati nel corso dei processi, e alla possibilità di investigare su un tema molto attuale come quello dei rapporti tra stampa e investigatori, considerato un terreno impenetrabile, una sorta di “sancta santorum”.
E' stata messa in discussione la vostra libertà?
“Certo, siamo stati attaccati e definiti "la prova dell'esistenza della mafia", praticamente ci hanno dato dei mafiosi. Il giochetto di identificare gli avvocati con i loro assistiti o con i reati che sono attribuiti ai loro assistiti è vecchio come il cucco, succedeva ai tempi del terrorismo e della mafia degli anni Ottanta, la scorciatoia più illiberale e autoritaria di giustizia, come se fossimo una categoria di prezzolati al servizio di propositi criminali. Se non le dispiace, vorrei ricostruire la vicenda dal punto di vista cronologico”.
Prego
“Della faccenda della pubblicazione sull'Espresso, nel corso delle indagini, di quello che appariva una anticipazione delle medesime, se n'era iniziato a discutere un anno fa: la Camera Penale aveva preso posizione, ne era seguita una dura polemica con alcuni giornalisti che avevano dato dei “mafiosi” agli avvocati, la Camera Penale aveva reagito con esposti e querele. Poi, nel dibattimento, durante alcuni controesami dai toni forti, si era discusso anche di questo argomento, ma in chiave processuale: stiamo parlando dell'idea della mafia a Roma, è ovvio che interessi sapere come e quando alcune notizie siano fuoriuscite. Il punto è questo: se mediaticamente si accredita l'idea che esista una mafia autoctona romana prima ancora che scoppi il caso giudiziario, il fenomeno che ne scaturisce è che questa idea, che fino a quel momento era sembrata stravagante, trova terreno fertile sui cui sedimentarsi. Per questo motivo era evidente l' interesse della difesa a chiedere agli investigatori qual è stata la loro posizione nei confronti di un articolo che avrebbe potuto anche pregiudicare le indagini”.
Poi cos'è successo?
“Rispetto a queste domande non c'era stata alcuna reazione ma poi, dopo che la Camera Penale ha infermato di aver presentato querela, e l'avvocato Naso nel corso del processo Fasciani ha reiterato il concetto di un collegamento tra investigazioni e stampa, si è scatenato un attacco fortissimo sia nei confronti di Naso come persona, sia implicitamente nei confronti della possibilità di investigare su questo tema. Una polemica sfogata in fatti davvero stravaganti, come la presa di posizione del presidente dell'ordine dei giornalisti, che con una lettera al presidente del Tribunale e al presidente degli avvocati, ha chiesto di impedire che si sfacciano certe domande nel corso dei processi. Una richiesta paradossale che non può essere accettata: se una domanda non ha pertinenza è il Presidente della Corte a non ammetterla, molto semplice”.
Insomma uno scontro a tutti gli effetti?
“Direi che siamo arrivati ad un punto grave nei rapporti tra il Foro e l'informazione giudiziaria”.
Rispetto a questa vicenda, qualcuno sostiene che si sia creata una spaccatura all'interno del collegio difensivo. E' cosi?
“Direi di no: c'è stata una posizione diversa da parte dall'avvocato Luca Petrucci, che ha voluto esprimere una difesa anticipata di un giornalista esposto, ma non una vera e propria censura nei confronti del collega Naso.peraltro quando io stesso assieme al collega Intrieri siamo intervenuti in tema, a tutela della libertà' di parola dei difensori, Simsono associati tutti, anche le parti civili”.
Secondo lei sarà un processo breve?
“Penso che si arriverà a sentenza entro l'anno. Il Tribunale sta procedendo velocemente e noi stiamo facendo una rincorsa, sperando nell'autonomia intellettuale dei giudici, come i salmoni contro corrente rispetto ad un'opinione pubblica che dà già per scontato l'esistenza di una mafia, senza neppure sapere che cos'è l'associazione a delinquere si stampo mafioso. In questo tanto sarebbe d'aiuto un'informazione puntuale di quello che succede nel processo, che come le ho detto, non c'è”.