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Roma
Mafia Capitale, “Il Procuratore vive a Reggio Calabria”. Parla Naso

di Valentina Renzopaoli


"Roma come Reggio Calabria: è il sogno di Pignatone" e "Ostia mai stata mafiosa", così l'avvocato Giusuoé Naso torna all'attacco della Procura di Roma.
La sentenza Fasciani è stato un colpo durissimo all'impostazione del pool di magistrati che aveva asserito l'esistenza di un'associazione di tipo mafioso sul litorale romano, certificata con una sentenza storica che il 30 gennaio 2015 aveva individuato nel clan Fasciani il punto di riferimento di questo gruppo criminale. Dopo un anno e mezzo la Corte d'Appello ha cancellato questa “verità”, considerata da tutti il presupposto per considerare, da qual momento in poi, la stessa Ostia come centrale operativa di una nuova mafia.
L'avvocato Giosuè Bruno Naso, storico difensore di Massimo Carminati, dello stesso Carmine Fasciani e di Riccardo Sibio nel processo d'Appello, ha scelto affaritaliani.it per spiegare che questa decisione dei giudici potrebbe avere ripercussioni importanti anche su altri processi romani in corso, in primis Mafia Capitale.

Avvocato, lei è stato uno dei protagonisti del processo d'Appello. Lo scorso 29 gennaio  è andato su tutti i giornali per le parole durissime pronunciate in aula contro il procuratore Pignatone. In base a quali elementi, secondo lei, i giudici hanno ritenuto di dover ribaltare la sentenza di primo grado?
“Ovviamente bisognerà attendere le motivazioni per fare un'analisi dettagliata; tuttavia è evidente che nell'impostazione dell'accusa difettassero gli elementi costitutivi proprio dell'associazione mafiosa, ossia il controllo del territorio, l'esistenza di un'organizzazione ramificata e capillare, ma soprattutto il metodo mafioso. E' vero che la sentenza stabilisce che si sono verificati reati comuni di una certa serietà e, infatti, i dieci anni di reclusione toccati a Carmine Fasciani ne sono una prova. Tuttavia l'aver inquadrato il contesto criminale nel perimetro del 416 e non del 416 bis smentisce in radice l'impostazione della Procura di Roma”.

Quindi lei legge questa sentenza come un duro colpo alla stessa politica di Pignatone e della Procura di Roma?
“Il metodo mafioso e l'associazione mafiosa, dopo un tentativo avvenuto negli anni Ottanta con i processi alla Banda della Magliana, è stato riesumato dal procuratore Giuseppe Pignatone. Non è una notizia la mia critica alla sua politica, motivata da una seria convinzione. A mio giudizio, Pignatone crede che Roma sia una grande Reggio Calabria e questo rivela grossi limiti della sua conoscenza dell'ambiente romano. Roma è una città esagerata per definizione, fin dal suo dna: prendere alla lettera le parole captate nelle intercettazioni telefoniche e ambientali e da queste conseguire ipotesi di stampo mafioso significa conoscere poco Roma, anche nella sua “pelle” criminale. Ad esempio, Matteo Calvio che al muretto della pompa di benzina di Corso Francia di una presunta vittima di estorsione dice: “Io te vengo a 'scuoià...” non può essere preso sul serio. Chi conosce Roma capisce che si tratta di fanfaronate che non avranno un seguito”.

Senta avvocato, la definizione “Ostia mafiosa” è stata coniata sul presupposto dell'importante sentenza del 30 gennaio 2015. A questo punto, dobbiamo ritenere che Ostia non sia più mafiosa?
“Per me non lo è mai stata. E lo dico con la convinzione non solo di un'avvocato che conosce quasi tutti i processi che hanno riguardato questa asserita mafia, ma anche da cittadino. I Fasciani sono persone che vivono una vita border line o, anche, ben al di là dei confini della legalità, come è certificato anche dalla sentenza di Appello. E' gente che ha impostato la propria esistenza sul crimine e sul delitto. Ma questo non significa dire che si sono impadroniti del territorio di Ostia che è una vera e propria città. Un luogo ricettacolo di gente che vive una condizione di crimine anche per il suo essere urbanisticamente ai margini di una grande capitale, e che dovrà essere senza dubbio bonificata, si dovrà garantire una maggiore presenza fisica della polizia; ma questa non è mafia, ma degradata realtà sociale del nostro tempo, presente quasi in tutte le megalopoli del mondo e in molte altre grandi città italiane”.

Crede che questa sentenza avrà delle ripercussioni su altri processi, in particolare su Mafia Capitale?
“Direi parecchie, visto che la sentenza di primo grado era stata letta da tutti come il principio della conferma del teorema di Pignatone, ossia che Roma è mafiosa; lettura che aveva avuto grande risonanza mediatica, in particolare attraverso gli articolo del giornalista Lirio Abate sui Re di Roma. Voglio dire questo: il processo Casamonica si è concluso con l'esclusione del reato associativo, asserendo l'esistenza di un gruppo dedito al piccolo spaccio di borgata senza alcun controllo del territorio; nel processo sull'omicidio Senese è stata esclusa l'aggravante dell'articolo 7; ora nel processo Fasciani si esclude l'associazione si stampo mafioso. Rimane solo Massimo Carminati: ecco penso che qualche conseguenza questa nuova sentenza la possa avere”.

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