Roma

Mafia Capitale, malaffare senza mafia. L'accusa: “Colpito lo stato di diritto”

L'avvocato Rossodivita contro la Procura di Roma: “Costruito un pregiudizio”

di Valentina Renzopaoli

Mafia Capitale “costruita” in tv, attraverso una costante “violazione del segreto istruttorio e una liaison tra Procura e mezzi di informazione”.

 

Affermazioni pesantissime quelle dell'avvocato dei Radicali Giuseppe Rossodivita. Milanese di nascita, romano d'adozione Rossodivita è stato per vent'anni il legale di Marco Pannella e di Emma Bonino. Penalista doc, ha seguito il processo Welby, ha fatto condannare lo Stato Italiano con la sentenza Torreggiani per il trattamento strutturalmente disumano delle carceri italiane, ha seguito processi importanti come quello per lo spionaggio Telecom, o per il disastro ambientale prodotto dalla Tamoil a Cremona.
A diciassette mesi dalla prima udienza di Mafia Capitale, sceglie affaritaliani.it per spiegare come mai un maxiprocesso definito “storico” si sgonfiando come una bolla di sapone.

Centotredici posizioni archiviate dal gip tra gli indagati di Mafia Capitale, pene ridotte in appello per i primi quattro condannati con il rito abbreviato, aggravante mafiosa cancellata per Gammuto, collaboratore stretto di Buzzi. E ancora, decaduta l'ipotesi di aggravante mafiosa per l'ex sindaco Alemanno, assolto in primo grado il capo di gabinetto della Regione Lazio Venafro. Mafia Avvocato Rossodivita, secondo lei Mafia Capitale esiste ancora?
“In questo processo la mafia non è mai esistita. Mafia Capitale è stato uno strumento sbagliato per colpire, con un'enfasi giudiziaria prima sconosciuta a Roma, il malaffare che permea la cultura amministrativa e politica romana. Il concetto 'giuridico' di mafia a Roma è stata ed è una enorme forzatura, se ne avesse scritto uno studente di giurisprudenza ad un esame di diritto penale sarebbe stato bocciato.
I media lo hanno veicolato in termini impressionanti, con uno spiegamento di forze senza precedenti, con costanti violazioni del segreto investigativo che difficilmente potevano avere origine in altri se non nei tenutari delle indagini. C'è stata una alleanza tra media e investigatori che ha calpestato il diritto e lo stato di diritto. E se è vero che i mezzi prefigurano i fini, non possiamo non essere preoccupati. Sin dalla partenza dell'inchiesta sugli schermi dell'emittenza televisiva pubblica e non solo, sono stati trasmessi video con i loghi delle forze dell'ordine, erano atti dell'indagine coperti dal segreto. Ma nessuno ha fatto niente.

Secondo l'opinione pubblica Roma è già “mafiosa”, nonostante il procedimento sia ancora in corso. Tutto questo è frutto di una strategia politica e culturale?
“E' quel che si voleva. E' stata costruita e prodotta una strategia mediatica per creare, attraverso stampa e tv un “pre-giudizio” nell'opinione pubblica, nel vero senso della parola, che si è ormai sedimentato, tanto da mettere gli stessi giudici che dovranno giudicare – hanno anche loro la tv a casa - nella difficoltà di poter assolvere gli imputati dal reato di mafia. Dovrebbero spiegarlo prima di tutto alla gente.”.

Quindi la sentenza è già scritta?
“Spero di no, ma francamente non mi sorprenderebbe che si arrivi ad una sentenza corretta solo nei gradi successivi, tra qualche lustro, quando i riflettori saranno spenti. E' un meccanismo che si ripete ogni volta: ho partecipato a processi seguiti in modo ossessivo dalla stampa nella fase iniziale, poi con il passare dei lustri (perché è così che va la giustizia), l'attenzione è scemata ma i disastri che questa attenzione morbosa ha prodotto, rovinando la reputazione e la vita di persone in carne ed ossa, non sono stati minimamente ristorati in alcun modo, dopo le assoluzioni. Vite rovinate nei propri ambienti sociali dalla veicolazione, ossessiva e suggestiva, delle tesi di accusa spacciate per accertamenti giudiziari; e la gente, che per lo più di processo penale conosce poco, che non distingue neppure tra magistrati inquirenti e giudicanti, tanto sono tutti giudici, finisce per credere a tutto in buona fede. Quante persone, tra quelle bombardate dalla tv nella fase delle indagini e degli arresti sanno cosa sta accadendo, oggi, nel dibattimento del processo Mafia Capitale?”.

Mafia Capitale ha aiutato l'ascesa del Cinque Stelle al colle capitolino?
“Assolutamente sì. E' stata un'indagine fondamentale, essenziale, determinante per l'ascesa del M5S al Roma. Ma bisogna anche chiedersi come si sia arrivati a tutto questo. Il sistema politico-amministrativo romano è permeato di corruzione, mercimonio delle funzioni pubbliche, clientelismo elettorale che produce le decine di migliaia di voti di preferenza in capo a politici di basso profilo e sconosciuti a livello nazionale. Questo sistema è stato fatto crescere negli ultimi cinquant'anni senza nessun ostacolo. Dov'è stata in questo mezzo secolo la Procura di Roma? Il Presidente della Corte di Appello di Roma ha detto, quest'anno, all'inaugurazione dell'anno giudiziario, che la Procura di Roma non è più il “porto delle nebbie”. Bene, ma ciò vuol dire che si riconosce che lo è stato in passato. Ci sono responsabilità storiche della magistratura italiana di cui non si parla mai.

Senta, qualcuno tra i protagonisti della vita romana, alla fine secondo lei l'ha scampata?
Silenzio. “Diciamo che quando si fanno maxi indagini e maxi processi - che continuo a ritenere una prassi giudiziaria incivile: processi con decine, centinaia di indagati, con centinaia di imputazioni - siccome nessuno è infallibile, qualcosa o qualcuno può sfuggire, così come qualcuno può rimanere impigliato nella rete. L'ingiustizia è dietro l'angolo. Nei maxi processi le responsabilità individuali finiscono spesso per confondersi con delle responsabilità collettive e magari, invece, qualcuno, riesce a nascondersi. O ad essere nascosto”.

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