Roma

Mafia Capitale, l'usura diventa romanzo. Il fascino irresistibile del mondo di mezzo

di Patrizio J. Macci

Il romanzo di "Mafia Capitale", inteso come i tipi umani, gli atteggiamenti, il mood e gli scenari del fenomeno criminale che ha fatto tremare Roma e la sua classe politica nell'ultimo anno lo ha scritto Massimo Lugli, da quarant'anni giornalista di nera e inviato speciale de "La Repubblica". Per mantenere al centro del mirino gli eventi Lugli ha scelto come titolo proprio una delle espressioni ormai divenuta famose: "Nelmondodimezzo" (Newton Compton Editore). Il protagonista e io narrante Marco Corvino è un felice ritorno nella narrativa del giornalista e scrittore romano, finalista al Premio Strega. L'autore è un romanziere scaltro, dotato di tecnica narrativa che lascia il lettore appeso alla scena iniziale di un cecchino che spara (apparentemente) senza motivo sulle persone, per gettarsi immediatamente nel racconto del "mondo di mezzo" attraverso gli occhi del giornalista Marco Corvino, appassionato di arti marziali come lo scrittore. Si rimane spiazzati, perché solo alla fine del libro tutti i nodi vengono sciolti e il disegno diviene chiaro e nitido.
I soggetti del milieu criminale ci sono tutti: "mafiosi" vecchio stampo con il cappotto di cammello e il vestito gessato, "mozzaorecchi" al servizio di chi paga di più, fascisti ritratti in maniera folcloristica, vecchi arnesi della mala romana in disarmo; tutti al soldo di due organizzazioni che si fronteggiano per la spartizione del potere. Il cuore immorale del racconto è invece uno dei peccati mortali che avvelena la città di Roma, che "strozza" letteralmente semplici cittadini, commercianti e imprenditori: l'usura, il prestito di soldi da parte di organizzazioni criminali che finiscono per appropriarsi (letteralmente!) delle esistenze dei loro clienti spesso spingendoli a un gesto estremo. La matassa imbrogliatissima di tre omicidi senza alcun nesso logico viene dipanata proprio da Corvino, consumato cronista a un passo dalla pensione. Lugli racconta con maestrìa i tic della vita redazionale, l'ambiente cameratesco, la non vita in cui piomba chi sceglie di praticare una professione che finisce per aderire interamente con la propria esistenza risucchiando affetti, emozioni, in un frullatore che non può mai essere spento. Senza risparmiare frecciate ironiche a una professione che ha visto personalmente mutare dal piombo ai pixel che bruciano sullo schermo. La città sullo sfondo non è mai identificabile perfettamente con Roma, mai definita con i nomi di strade, luoghi di ritrovo  esistenti, ma il suo volto oscuro è raccontato con la potenza della scrittura e la malìa della penna alla quale non sfuggono mai i fatti in tutta la loro crudele bellezza.