Roma

Mafia, facevano affari e vivevano a Roma. Arrestato il boss Rinzivillo

In manette un avvocato romano e due carabinieri che fornivano notizie riservate

Facevano affari a Roma e nel nord: in manette 37 affiliati del clan di Cosa Nostra, alleato dei Madonia e dei Corleonesi di Totò Riina. In, manette anche un avvocato romano.

 

Trentasette arresti fra Roma, la Sicilia, la Lombardia, il Piemonte, l'Emilia Romagna e la Germania, sequestrati beni e società per oltre 11 milioni di euro. È il bilancio di una maxi operazione antimafia coordinata dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo e disposta dalle Direzioni distrettuali antimafia di Roma e di Caltanissetta.

Nel mirino, la famiglia mafiosa originaria di Gela, nella sua articolazione territoriale denominata clan Rinzivillo, che fa capo a Salvatore Rinzivillo, 57enne scarcerato nel 2013 dopo aver scontato una condanna per mafia, fratello di due ergastolani rinchiusi al “41 bis” e da tempo residente nella Capitale.

Seicento operatori di polizia, appartenenti al Comando provinciale della Guardia di finanza di Roma, alla Polizia di Stato di Caltanissetta, al Comando provinciale dei Carabinieri di Roma e alla Polizia Criminale di Colonia, hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare, in carcere e ai domiciliari, nei confronti dei 37 soggetti "responsabili di plurime condotte criminali aggravate dal metodo mafioso".

Tra loro c'è anche un avvocato romano, Giandomenico D’Ambra, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e considerato da inquirenti e investigatori “l’archetipo della cosiddetta zona grigia” di contiguità tra i boss e il mondo delle professioni.

Nell’elenco degli arrestati ci sono anche due carabinieri, accusati di accesso abusivo alle banche dati delle forze dell’ordine, da cui attingevano notizie riservate per passarle ai Rinzivillo.
Tra i principali complici di Rinzivillo c’è un altro siciliano trapiantato a Roma, Santo Valenti, imprenditore nel ramo ortofrutticolo che, secondo l’accusa, faceva pesare nei suoi rapporti al Centro agroalimentare romano la sua ostentata amicizia con il boss.


Gli investigatori hanno scoperto che Rinzivillo ha intrapreso diretti rapporti con altri capi mafia palermitani e con mafiosi operativi nella provincia di Trapani e di Catania, "mostrando un assoluto dinamismo criminale, sia rispetto alla commissione di molteplici reati volti ad agevolare l'associazione mafiosa - estorsioni, altri traffici di droga, plurimi episodi di detenzione illecita di armi da fuoco - sia con riguardo alla diversificazione delle attività commerciali-imprenditoriali riconducibili alla famiglia, con conseguente infiltrazione nell'economia legale".
Secondo le indagini, l'organizzazione si è avvalsa di un'ala criminale - che si occupava di traffico internazionale di sostanze stupefacenti, estorsioni, intestazioni fittizie e traffico di armi - e di un'ala imprenditoriale - che si occupava invece di edilizia, trasferimento fraudolento di beni, commercializzare autoveicoli e alimenti, in particolare i prodotti ittici. Salvatore Rinzivillo direttamente o per il tramite di suoi stretti collaboratori, chiedeva ai commercianti il pagamento di somme di denaro a titolo estorsivo.
Sul fronte imprenditoriale è risultata di primaria importanza la commercializzazione di prodotti ittici sull'intero territorio nazionale e all'estero, gestiti tramite un accordo con mafiosi palermitani.

La Squadra Mobile di Caltanissetta e i militari del Gico di Roma lo hanno chiamato "il patto mafioso sul commercio di pesce". È stato infatti portato alla luce un vero e proprio accordo di spartizione territoriale per il commercio di prodotti ittici sul mercato siciliano, con mire espansionistiche anche per Roma, Milano e la Germania. Nello specifico, Salvatore Rinzivillo ha avuto l'opportunità di "infiltrarsi" nel mercato di settore attraverso imprese mafiose da lui controllate, riconducibili ai gelesi Carmelo e Angelo Giannone. Dall'inchiesta della magistratura è poi emerso che lo stesso boss ha preso contatti con esponenti mafiosi di Mazara del Vallo - costringendo alcuni imprenditori locali a fornire il pesce a credito piuttosto che a fronte di pagamento in contante all'atto della consegna - con importanti pregiudicati messinesi e perfino con il boss italo-americano Lorenzo De Vardo, che vive a New York.
Le indagini della Dda di Caltanissetta hanno riscontrato significativi rapporti di Rinzivillo con clan mafiosi catanesi appartenenti alla famiglia calatina di Francesco La Rocca, storico capomafia di San Michele di Ganzaria e al clan dei "Carcagnusi" (Mazzei).

In Germania il boss aveva rivitalizzato la cellula criminale che opera nelle città di Karlsruhe e di Colonia, nei land tedeschi di Baden-Wuttemberg e della Renania Settentrionale-Westfalia, individuando nell'insospettabile e incensurato Ivano Martorana, di origini gelesi ma da sempre di stanza in Germania, il nuovo luogotenente, assieme allo zio Paolo Rosa, altro gelese trasferitosi oltralpe e già collegato al capofamiglia Antonio Rinzivillo, il soggetto cui demandare l'organizzazione e realizzazione di più traffici di droga e la verifica della possibilità di realizzare investimenti in Germania nei settori storicamente d'interesse della famiglia, quali le costruzioni e il campo alimentare.

C'era anche il CAR (Centro Agroalimentare Roma) nel mirino del clan Rinzivillo, smantellato grazie all'operazione "Druso" ed "Extra Fines". Lo ha reso noto Michele Prestipino, procuratore aggiunto di Roma, nel corso di una conferenza stampa nella sede della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo. "Il tentativo di controllo di settori economici - ha spiegato Prestipino - è una delle attività tipiche delle organizzazioni mafiose. L'organizzazione ha cercato di penetrare il mercato attraverso il sistema tradizionale dei clan, sottoponendo cioè ad estorsione uno degli operatori, imponendogli forniture e prezzi e cercando di recuperare le somme pretese attraverso minacce e intimidazioni. Un sistema che ha finito per coinvolgere anche il titolare del Cafè Veneto, che si è rivolto ai carabinieri".

Il 'filone' romano dell'inchiesta - ha spiegato il procuratore - era nato "da un attentato dinamitardo al mercato ortofrutticolo di Fondi, sventato nel 2014 dall'intervento della Guardia di finanza: dalle indagini sul personaggio principale coinvolto sono emersi i contatti con uno dei fratelli Rinzivillo, Salvatore, stabilitosi nella Capitale dopo essere uscito dal carcere a Sulmona".