Roma

Mafia, processo Fasciani. Sentenza slittata di 2 mesi

Sentenza slittata, il processo non è finito: era atteso per lunedì il verdetto del processo d'Appello che vede alla sbarra il boss di Ostia Carmine Fasciani, i fratelli Vito e Vincenzo Triassi e altre quindici persone per il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso. Invece si dovrà aspettare fino al prossimo 4 aprile.
Al termine di una camera di consiglio durata oltre tre ore, i giudici di secondo grado hanno formalizzato con una ordinanza la richiesta di acquisizione di ulteriore materiale utile e di un nuovo accertamento istruttorio. In sostanza ciò che è emerso nel corso del dibattimento non è sufficente per emettere il verdetto. In particolare la Corte ha disposto l'acquisizione di alcuni verbali di dichiarazioni spontanee rese da Carmine Fasciani e da sua moglie Silvia Bartoli, e i verbali di interrogatorio di alcune persone ascoltate nell'ambito di un altro procedimento, già conclusosi con la condanna di Fasciani, della Bartoli e di una decina di altri soggetti, tutti accusati di interposizione fittizia di beni. Inoltre, al vaglio dei giudici d'appello, finiranno anche gli atti su alcuni attentati messi in atto ad Ostia nei confronti di una famiglia e visure camerali di società.
Uno “scrupolo serio, doveroso e corretto” ha definito l'avvocato Mario Gerardi, difensore del boss Carmine Fasciani, l'esigenza espressa dalla Corte dell'integrazione istruttoria. “A mio giudizio, la Corte vuole sapere come è stato acquisito il Village da parte della famiglia Fasciani, ovvero se la modalità utilizzata possa definirsi mafiosa oppure se, come abbiamo sostenuto noi, si sia trattato di un'acquisizione lecita effettuatata, in parte minore, attraverso un pagamento in contanti e, nella maggior parte, attraverso una permuta di immobili di proprietà di Carmine Fasciani da decine di anni prima”, ha spiegato.
Per i quindici imputati, accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso, il procuratore generale Giancarlo Amato, lo scorso 13 gennaio aveva chiesto oltre la pena del carcere per un totale di duecento anni.