Roma
Mascherine gate alla Regione Lazio, se Zingaretti “difende l'indifendibile"
Il profilo tecnico-politico di Carmelo Tulumello, il direttore della Protezione Civile al centro dello scandalo mascherine. Così lo racconta Andrea Augello
di Andrea Augello
Chissà se Nicola Zingaretti condivide la mia passione per la scrittura di Oscar Wilde e, in particolare, per la dissacrante commedia contro l’ipocrisia delle apparenze il cui titolo, tradotto in italiano, non rende giustizia al gioco di assonanze tra il nome proprio Ernest e l’aggettivo earnest, che in inglese si pronuncia allo stesso modo e significa onesto.
“L’importanza di chiamarsi Ernesto” è infatti una graffiante satira contro il moralismo dell’Inghilterra vittoriana, che racconta di gentiluomini pronti ad assumere una doppia identità pur di mostrarsi integerrimi agli occhi della società che conta, affidando ad uno scapestrato alter ego il compito di manifestare la loro vera natura: nobili e saggi proprietari terrieri nell’avita Manor house di campagna a Woolton, pronti a trasformarsi in spregiudicati avventurieri, sotto falso nome, a Londra.
Non vorrei che il paragone lusingasse troppo Carmelo Tulumello, traballante Direttore della Protezione civile del Lazio, zingarettiano di ferro e protagonista del pasticciaccio delle mascherine: lui, in effetti, ha una pessima immagine tanto a Fara Sabina, dove ha tentato una disastrosa avventura elettorale candidandosi alle elezioni a Sindaco con esiti penosi, quanto a Roma, dove in molti ancora si interrogano sulla ragione per cui quella sconfitta fu poi premiata dal Presidente della Regione con un incarico così delicato, come la direzione della Protezione civile.
Inoltre Fara Sabina non è la sua terra avita. Le mie origini siciliane mi consentono di riconoscere con sicurezza un oriundo della provincia di Agrigento, probabilmente della zona di Racalmuto: il nome Carmelo, che non è propriamente nella top ten dell’onomastica dell’Italia centrale, suggerisce che la migrazione dei Tulumello verso la zona reatina sia relativamente recente, al massimo un paio di generazioni. Della sua biografia politico amministrativa c’è poco da dire: dopo essersi misurato, da Vigile urbano, con il tentacolare traffico di Fara Sabina, ha poi consolidato una serie di esperienze amministrative, tra le quali spiccano incarichi di vertice, sempre nella provincia reatina, nella Polizia locale. Un tipo anonimo, irrilevante politicamente e inconsistente amministrativamente. Eppure Nicola Zingaretti, nonostante sul mascherinagate abbia confermato l’intelligenza e la maturità del leader nel riconoscere pubblicamente la qualità del lavoro di denuncia dell’opposizione, sconfessando così i temerari detrattori di Roberta Angelilli e Chiara Colosimo, trattate dalla sinistra laziale come due contaballe fino alla settimana scorsa, di fronte a questa caricatura di dirigente esita a fare l’unica cosa giusta e naturale: cacciarlo, sine ulla dubitatione.
Ci sono infatti, anche nel nostro caso, due Tulumelli: uno, del tutto immaginario, ritratto dalla fantasia di Leodori e Zingaretti, scrupoloso, responsabile, lavoratore, impegnato giorno e notte nel reperimento dei presidi sanitari, preparato amministrativamente come un funzionario asburgico originario di Graz.
Poi c’è un altro Tulumello, quello vero, che ormai ha anche assunto una certa notorietà televisiva: un tipo che, assegnando risorse per 37 milioni di euro, si fa rifilare certificazioni Sgs false, perché non trova la voglia e il tempo di scrivere una mail per accertarne la veridicità, che si becca ben due polizze fideiussorie tarocche, perché non è capace di leggere un codice standard industriale sui siti britannici istituzionali, dai quali si può facilmente desumere che chi ha firmato quelle garanzie non aveva titolo per farlo. Uno sciagurato che si presenta in un’audizione raccontando in una serie di slides che la Eco Tech è una grande opportunità per la Regione, perché ha battuto con offerte favolose più di un concorrente, facendo il nome, tra questi, di tale Ivan Gilardi, che poi si è scoperto essere non un concorrente, ma lo chaperon della Eco Tech, l’accompagnatore ufficiale dei mascherinari improvvisati presso l’Ufficio di Gabinetto del Presidente della Regione.
Un genio, che tre giorni dopo aver ricevuto dall’Ivass e da Bankitalia la conferma di aver dato per buone polizze fasulle, ancora rispondeva per iscritto ai giornalisti delle Iene che sui contratti con la Seguros DHI Atlas poteva solo confermare ciò che aveva scritto nelle sue esilaranti determinazioni. Uno sprovveduto che ha fatto il primo affidamento da oltre 11 milioni di euro alla Ecotech un giorno prima del decreto 18 del 2020, cioè della legge che autorizzava praticamente chiunque a improvvisarsi produttore, importatore e commerciante di presidi sanitari, presentando una semplice autocertificazione e alcuni requisiti minimi al Ministero della Sanità e all’Inail, con tanto di salvagente per gli eventuali danni erariali derivanti da colpa o colpa grave delle amministrazioni affidatarie delle commesse.
La prima, fatale deliberazione tulumellesca è però del 16 marzo, mentre il decreto viene pubblicato ill 17. Quando uno dice la sfiga. Ciò significa che all’epoca la Eco Tech non poteva avere i requisiti professionali ed economici richiesti dal Codice per gli appalti, essendo un negozio di lampadine con 10.000 euro di capitale e che quindi nessuno poteva affidargli la commessa. Ed è inutile sperare che davanti alla Corte dei Conti o alla Procura si possa invocare, in caso di bisogno, il favor rei, notoriamente non applicabile alle norme emergenziali dei decreti legge. Senza contare, come presto argomenterà l’Anac, richiamando le linee guida della Commissione europea, che l’affidamento diretto è uno strumento consentito quando sussistano ragionevoli elementi per ritenere un’azienda in grado di soddisfare più rapidamente di altre le esigenze di urgenza che spingono e giustificano l’amministrazione a sospendere le normali procedure di gara.
Credo che persino Tulumello convenga sul fatto che questa “ragionevole” condizione abbia scarse probabilità di essere riconosciuta nella ridicola pretesa di trasformare profumiere, venditori di carte da parati, editori e commercianti di lampadine in fornitori di milioni e milioni di mascherine nel bel mezzo di un’emergenza.
Infine questo secondo Tulumello ha una caratteristica originalissima: lui perde solo le offerte delle imprese che fanno preventivi migliori di quelle che si aggiudicano l’appalto. Ne ha perse tre, che dice di non aver visto sul suo tavolo, tutte però rinvenute nella mail della Protezione civile, accomunate solo dall’apparente difetto di far risparmiare milioni alla pubblica amministrazione.
Eppure Nicola Zingaretti, Presidente della Regione, leader di un grande partito al governo del Paese, al pari di Miss Gwendolen Fairfax nella commedia di Wilde, nel sentire pronunciare il nome di Tulumello non sa resistere a un pregiudizio di grande favore, nonostante lo sciagurato direttore detenga un record destinato a durare: è l’unico nella storia del Lazio ad aver affidato senza gara circa 103 milioni di euro, di cui quasi la metà - circa 49 milioni - sono finiti a società che si sono dimostrate incapaci di eseguire la fornitura. Per fortuna nel Lazio la pandemia è stata molto indulgente, diversamente temo che con queste medie avremmo sterminato gran parte degli operatori sanitari.
Conosco Nicola Zingaretti da tanti di quegli anni che non vale la pena ricontarli. E lui conosce me. Perciò dovrebbe sapere che non sono solito improvvisare campagne inconcludenti e verbose, perché di solito so di che parlo. Perciò insisto - e se insisto tanto ci sarà pure una ragione - nel ricordargli un gioco di parole che aiuta a riaffermare un prezioso postulato della politica: la difesa dell’indifendibile non è mai una posizione difendibile. Pertanto non vale la pena occuparla, neppure provvisoriamente. Un dirigente pasticcione non è necessariamente un disonesto e non è mio compito approfondire questo punto. Paghiamo discretamente fior di magistrati - a volte molto svogliati e di parte - per dirimere questioni del genere.
A me, a Nicola Zingaretti, agli amministratori del Lazio, dovrebbe invece bastare il bollettino disastroso della gestione di queste benedette forniture per chiudere la questione, rimuovendo una persona poco capace, per usare un eufemismo. Nell’attesa che giunga quell’inevitabile momento, continueremo a fare il nostro dovere, cercando la verità, con garbo, determinazione, intransigente efficienza e un filo di saggia ironia.