Roma

Massacro Pasolini: 3 killer ancora vivi e per loro mai fatto il dna. Le prove

Il libro di Simona Zecchi “l'inchiesta spezzata” riapre il delitto Pasolini. Tre degli esecutori sarebbero ancora in vita. Le prove nel carteggio con Ventura

di Patrizio J. Macci

Tre delle persone che avrebbero partecipato all’omicidio di Pier Paolo Pasolini sono vive, e non sono mai state sottoposte a un accertamento del dna con le evidenze trovate dagli investigatori sugli indumenti del poeta ucciso all’Idroscalo di Ostia 45 anni fa. Lo afferma Simona Zecchi nel suo libro fresco di stampa rivelando di alcuni di loro nomi e cognomi. 

E non è l’unica notizia esclusiva presente nel volume, il cui cuore pulsa intorno al movente che avrebbe condotto lo scrittore al massacro quella notte.

13 sarebbero gli individui coinvolti nelle varie fasi dell'agguato mortale. 

Il manipolo di persone che aggredì Pasolini era composto da neofascisti, elementi di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo, alcuni dei quali provenienti da Catania, e del piccolo mondo della criminalità e mafie, tutti ingredienti presenti nelle dinamiche della strage di Piazza Fontana del 1969 e in generale della strategia della tensione. Nel libro inoltre un nuovo testimone parla del ruolo svolto anche dalla 'ndrangheta nello schema ordito contro il poeta. Ma riavvolgiamo il film degli eventi, ecco come si sono svolti i fatti secondo la concatenazione sviluppata dalla Zecchi.

Fra il marzo e l'ottobre del 1975 il neofascista Giovanni Ventura scrive a Pasolini dal carcere di Bari dove si trova in detenzione preventiva per i fatti relativi alla strage. Lo scambio epistolare è volto a perorare la causa del neofascista e viene supportato da diversi intermediari, causa che lo scrittore non appoggia. Sono gli stessi mesi in cui Pasolini pubblica gli articoli su Il Corriere  con le accuse rivolte alla DC (specialmente quello che riportava, il 28 settembre successivo, la stessa parola utilizzata da Ventura – pleonastico – riferita al tipo di processo che si rischiava potesse celebrare alla DC in luogo di quello vero). Il contenuto della corrispondenza fa precipitare tutto e "impone" la sua eliminazione visto che si annuncia l'invio di documenti scottanti da indirizzare proprio a Pasolini, un dossier che nel libro per la prima volta la Zecchi porta alla luce. 

Anche nelle successive missive inviate allo scrittore, come quella del 2 luglio e dell'8 ottobre, Ventura lascia traccia di un altro importante elemento quando annuncia che il poeta friulano avrebbe ricevuto delle integrazioni e in particolare “un documento forse non inutile anche in questo contesto”. L’articolo, “Perché il processo”, era stato anticipato da Pasolini “all’ordinovista” nella sua lettera del 24 settembre.

libro simona zecchi
 

L'intellettuale che fa salire in automobile quel ragazzo caracollante su un paio di stivaletti alla stazione Termini per recuperare le bobine sottratte al regista nell'agosto del 1975, ignora che Pelosi è solo la pedina consapevole di una trappola decisa a tavolino senza possibilità di fuga.Pasolini, scrive la Zecchi supportata da una documentazione imponente, è stato ammazzato perché alla fine aveva trovato le prove e le avrebbe scagliate su carta nella sua attività di giornalista.

Simona Zecchi “L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini
Stragi, Vaticano, DC: quel che il poeta sapeva e perché fu ucciso”