Roma
Massimo Carminati: il mafioso nero con la katana per sfilettare il pesce
Mafia Capitale, l'ultimo re della malavita romana manda in scena l'agiografia di se stesso
di Massimiliano Martinelli
Tre comandamenti e non 10 e un'idiosincrasia per la sua immagine, vietata ad uso di giornali e tv. Massimo Carminati racconta Massimo Carminati, orgoglioso di essere fascista, fedele ad amici e ideali di una vita. L'uomo che faceva paura solo a nominarlo mostra il volto dietro il personaggio, ridendo e deridendo giudici e protagonisti di quello che doveva essere il più grande processo a Roma Ladrona: Mafia Capitale.
Felpa scura, jeans e scarpe da ginnastica. Così l'ultimo dei re della malavita romana si presenta in diretta video alla sua prima apparizione. In quello che si rivela un interrogatorio fiume Massimo Carminati parla a ruota libera, tra un'imprecazione e una parola in dialetto romano. L'ex Nar fin dal principio si mostra senza filtri e dal carcere parla con apparente sincerità, prendendo le distanze dai suoi vari alias.
Come uno showman trascina il pubblico in un viaggio all'interno di Massimo Carminati, un uomo che odia la politica e tutto quel “mondo di sopra” falso e ipocrita. Un uomo fedele alle sue idee e ai suoi valori, anche nel giorno più delicato e importante: “Sono un vecchio fascista anni '70 e sono molto contento di ciò che sono”.
La politica giovanile e gli amici di una vita Carminati non li rinnega, rinnovando in aula il rapporto fraterno con Riccardo Mancini. Un' amicizia quarantennale sbocciata tra le file dei Nar, nuclei armati rivoluzionari, iniziata a sedici anni e tutt'ora viva. Chiarisce di non essere un santo, ma neanche un mostro. Piuttosto un uomo schiavo di una etichetta, che ormai sente attaccata addosso: “La mia fama ti fa apparire come un deficiente, non c'entro nulla con Romanzo Criminale o con il Samurai: Suburra è finzione”. Fiction e indagini si separano, Carminati mostra una versione di se distante da libri e cinema. Poi la rivelazione, che per un istante strappa una risata al pubblico presente: “La katana? Me l'hanno regalata, serve a sfilettare il tonno”.
Allora ecco l'attacco ai media, colpevoli di averlo dipinto come il “male incarnato”. Carminati parla con goliardia, tentando di ridimensionare la propria immagine: “Il re di Roma è un'invenzione dei giornali, ci ridevamo su. Questo è info-intrattenimento, creano delle leggende da fatti irreali”. In un impeto d'orgoglio emergere infine quello che, secondo lui, è un ego ipertrofico: “Se non ci fossi io, questo processo sarebbe ridicolo”.
L'uomo simbolo dell'inchiesta più importante “smonta” così se stesso, rivelando bluff e falsi miti dietro la figura del “guercio” o del “nero”. Ma i motivi della sua verità rimangono un mistero. Forse un modo per tutelare se stesso, forse un teatrino. Una maxi organizzazione criminale viene ridotta ad un paio di amici nostalgici, tra esaltazioni e clamorose smentite. Verità o meno, Carminati ha avuto l'occasione per dire la sua versione.
E chissà che dentro qualche armadio anche lui come nella migliore tradizione, non conservi qualche dossier. L'assicurazione sulla vita in certe attività è quasi obbligatoria.