Meloni, forza della natura con poca memoria. Gravidanze e diritti: si crea un precedente
L'analisi. E' lei l'animale politico delle "comunali"
di Marco Zonetti
Sulla Terrazza del Pincio accanto a Matteo Salvini il giorno del Natale di Roma, Giorgia Meloni presenta il suo programma per la capitale con un look più sfavillante che mai: boccoli biondi, sconfinati occhi azzurri, eleganza sobria ma con sapienti tocchi femminili "bon chic bon genre". Di fronte al suo elettorato che l’acclama, la seppur minuta Giorgia è sempre più “larger than life”, una forza della natura, con il suo eloquio ardente e appassionato. Giorgia Meloni conosce la Storia, conosce Roma, conosce la situazione della capitale e quella italiana. Non è una sprovveduta né un’improvvisata: fra i candidati alla poltrona di sindaco, è lei l’autentico – e forse unico – animale politico.
E da animale politico qual è, la pitonessa Giorgia è costretta ad attuare il tutto per tutto per sopravvivere e acquisire la supremazia della catena “alimentare”. Se nella giungla reale, gli animali sono obbligati a “ricordare” per non cadere nelle trappole della vita selvaggia, in quella della campagna elettorale, la Meloni deve necessariamente “dimenticare”, sperando in primis che il prossimo dimentichi.
Citando le fallimentari amministrazioni precedenti, infatti, la candidata di Fratelli d’Italia sorvola sapientemente sul proprio appoggio – fino alla fine – a Gianni Alemanno, come ricordato con stizza da quest’ultimo, condannando la situazione italiana, le scelte governative che hanno impoverito gli italiani e la vergogna che sono diventate le istituzioni, preferisce non rivangare, per esempio, il suo voto favorevole alla legge Fornero, né quello sulla parentela di Ruby, presunta nipote di Mubarak.
Emula di Jane compagna di Tarzan, la Meloni si aggrappa alle liane meno scivolose, e come la maliarda Kaa del “Libro della giungla” tenta d’ipnotizzare con il suo occhiceruleo sguardo gli interlocutori sperando nell’oblio di un passato non proprio scevro dalla partecipazione alle amministrazioni precedenti che ora attacca con ferocia, quasi fosse entrata nell’agone politico soltanto ieri.
Rispetto ai rivali candidati, poi, Giorgia Meloni ha un’altra peculiarità: fa campagna elettorale per due. Dopo aver spiazzato con colpo da maestro l’opinione pubblica annunciando – lei single – la propria gravidanza al Family Day, ha rivendicato con orgoglio la condizione di donna in stato interessante e aspirante sindaco, malgrado lo scetticismo del suo mentore Silvio Berlusconi e di Guido Bertolaso, arcinoti amanti dell’universo femminile ma, a quanto pare, non delle future mamme aspiranti prime cittadine.
Le donne hanno mostrato di apprezzare la risolutezza a continuare la corsa al Campidoglio malgrado la gravidanza, non considerando che tutto ciò potrebbe determinare un precedente pericoloso per le conquiste femminili. Se una donna in attesa di un figlio, infatti, aspira a portare avanti una campagna elettorale e, in caso di vittoria, a ricoprire la carica di sindaco con un neonato cui badare, non rappresenterà per i datori di lavoro una scusa per negare tutte quelle agevolazioni sacrosante concesse – spesso già a malincuore – alle dipendenti incinte?. “Se la Meloni dice di poter fare il sindaco di Roma, figurati se tu, segretaria/donna delle pulizie/direttrice/manager ecc. non puoi continuare a lavorare in gravidanza”, ci pare già di sentir apostrofare le malcapitate lavoratrici in stato interessante.
E se la scelta di Giorgia Meloni di concorrere a sindaco in attesa di un figlio fosse un minaccioso passo indietro per le donne e una giustificazione per negare diritti conquistati con le unghie e con i denti? Forse Berlusconi e Bertolaso, tacciati di maschilismo, hanno – senza volerlo – evidenziato una questione etica su cui l’elettorato romano – in primis quello femminile – dovrebbe meditare.