Roma

Migranti via dal Lazio. Pensioni e lavoro, “ecco perché servono”: i dati

Pil a picco, crisi delle pensioni e la scomparsa delle imprese straniere. Ecco perché i migranti servono

Migranti via dal Lazio? Pensioni, lavoro e natalità: "Ecco perchè servono". L'Uil Lazio smonta la teoria del "prima gli italiani" con i dati.

 

 

"Una contrazione del Pil regionale di 19 miliardi di euro (valore pari alla somma della ricchezza prodotta da Basilicata e Molise), la scomparsa di 80 mila realtà imprenditoriali (soprattutto di piccole dimensioni), 300 mila occupati in meno, un buco da un miliardo di euro nei conti della previdenza, 7 mila insegnanti in esubero e un tracollo del welfare per migliaia di persone". A disegnare lo scenario improbabile di una esplusione di massa dei 680mila stranieri regolarmente residenti del Lazio sono Uil e l'istituto di ricerca Eures, che hanno "disegnato" una regione di soli autoctoni grazie alle fonti ufficiali di Inps, Istat e Miur ai propri database. Un esperimento per fornire "una risposta scientifica scevra da condizionamenti ideologici e politici, sulle ricadute economiche e sociali che un’eventuale ‘Italia agli italiani’ comporterebbe per il Lazio e la nazione", si legge in una nota.

I freddi dati rivelano come la popolazione straniera nel Lazio abbia registrato, nell’ultimo quinquennio, una crescita del 10,2%, mentre quella italiana ha subito un calo dello 0,7%. "Allontanare gli stranieri, comporterebbe un immediato calo demografico e un conseguente invecchiamento della popolazione residente (gli over 65 tra gli stranieri rappresentano appena il 4,1%, contro il 23,6% dei coetanei italiani)", dichiara l'Uil Lazio. Da ciò deriva, solo nella nostra regione, dove risiede il 15% della popolazione straniera residente in Italia, un calo del 10% del Pil, a fronte di un decremento nazionale pari all’8,9%. Cui si aggiungerebbe una diminuzione del 12,9% dell’occupazione con effetti devastanti soprattutto nei settori agricolo e domestico.

Inevitabili le eventuali riprecussioni sulla produzione agricola, rappresentata per il 40% della forza lavoro, "ufficiale", da migranti. Ciò determinerebbe il taglio di circa 20 mila addetti, con inevitabili  ripercussioni sul fronte della produzione e del commercio agroalimentare del territorio.  Ancora più pesanti sarebbero le ricadute nell’ambito del lavoro domestico e nel sistema dell’assistenza domiciliare privata, poiché all’interno del settore gli stranieri rappresentano circa l’83,9% del totale degli addetti attualmente “censiti” dalle statistiche ufficiali (108 mila su un totale di 129 mila lavoratori, di cui 30 mila badanti e 78 mila collaboratrici domestiche). Sommando a tale risultato la “quota” relativa ai lavoratori non “in regola” (quasi 80 mila unità secondo le stime Istat, di cui circa 70 mila stranieri), si tratterebbe di un “esercito” di circa 200 mila unità, la cui fuoriuscita dal mercato avrebbe ripercussioni drammatiche in termini di organizzazione familiare e possibilità di conciliazione lavoro/famiglia, in particolare modo per le donne. Basti pensare che nel nostro Paese solo il 10% di anziani e persone non autosufficienti è assistito in strutture residenziali idonee.

La ridotta presenza di anziani tra gli stranieri trova conferma anche nei dati relativi ai beneficiari delle pensioni: appena l’1% degli assegni complessivamente erogati in regione è destinato a cittadini di nazionalità straniera. In termini assoluti, si tratta di poco più di 17 mila assegni (l’anno di riferimento è il 2017), di cui 6,4 mila elargiti agli stranieri provenienti dai Paesi Comunitari di “recente ingresso” (lo 0,4% del totale) e quasi 11 mila erogati agli extracomunitari (lo 0,8% del totale). Poiché si tratta in genere di occupazioni meno qualificate rispetto a quelle svolte dagli italiani, la loro situazione retributiva è complessivamente più sfavorevole: circa 7,7 mila euro annui per uno straniero contro circa 12 mila euro per gli italiani, con un gap pensionistico pari a quasi 4 mila euro.

Ancora più indicativo il saldo contributivo/previdenziale della popolazione straniera e di quella italiana residente nel territorio regionale: i dati mostrano infatti come tra gli stranieri si registri un’eccedenza di 915 milioni di euro, a fronte di un saldo pari a -3,1 miliardi con riferimento alla popolazione italiana.Nello specifico quindi l’esborso Inps per le 17 mila pensioni degli stranieri è pari a 135 milioni di euro, mentre i contributi versati solo dai lavoratori dipendenti del comparto privato non agricolo (pari a 128 mila unità nell’ultimo anno) ammonta a oltre mezzo miliardo di euro. I contributi versati dai nostri connazionali nelle casse dell’Inps raggiungono invece i 13,7 miliardi di euro, contro i 17,5 miliardi destinati alle pensioni dei circa 1,2 milioni di pensionati laziali. Ne risulta quindi un saldo contributivo/assistenziale completamente negativo, con un disavanzo pari a 3,1 miliardi di euro, solo in parte compensato dall’eccedenza registrata dalla popolazione straniera.

“In sostanza pur non potendo affermare che gli immigrati residenti paghino interamente le nostre pensioni – conclude Civica – è indubbio che, a differenza degli italiani, apportino un contributo positivo al nostro sistema previdenziale. Ciò significa che se ipoteticamente gli stranieri venissero espulsi dal nostro Paese avremmo anche una diminuzione delle pensioni di anzianità e un tracollo del sistema previdenziale. Prima quindi di ipotizzare grandi manovre populiste e nazionalistiche, bisognerebbe che i nostri politici si informassero su ciò che questo comporterebbe realmente anche per la popolazione italiana, che tanto dicono di avere a cuore”.

Ma non solo, allontanare tutti gli immigrati significherebbe anche allontanare dalle scuole del Lazio i 64 mila studenti regolarmente iscritti (27,8 mila della scuola primaria, 16,2 mila delle scuole medie e 19,9 mila delle superiori). Ciò comporterebbe un esubero immediato di circa 6.800 docenti, con inevitabili ripercussioni per l’occupazione dell’intero settore.

Infine, una curiosità. Anche i matrimoni nella nostra regione subirebbero un tracollo, perché se tra i connazionali il convolare a nozze ha subito un’importante flessione negli ultimi anni, ciò non è valido per la componente straniera della popolazione, che ha fatto registrare un incremento del 10,9% nell’ultimo quinquennio (+333 celebrazioni in termini assoluti) e un aumento del 39,2% nell’ultimo anno (+952 matrimoni).