Roma

Minacce ai giornalisti, al Lazio la maglia nera: 112 casi sui 321 italiani

Non solo aggressioni e querele: ora la lotta alla stampa si fa sui social

Minacce, querele, aggressioni e danneggiamenti dell'attrezzatura lavorativa: giornalisti, cronisti e cameraman laziali devono fare i conti con una classifica poco allettante. La Regione è al primo posto per gli attacchi alla stampa, con 112 casi registrati su 321.

 

Una maglia nera di cui non si può per nulla andare fieri. A fornire i dati è l'Associazione stampa romana che sottolinea come la tendenza negativa sia la stessa da 4 anni a questa parte. Il Lazio supera nettamente nella classifica la Sicilia (dove si registrano “solamente” 40 casi) e la Campania (39 casi).

Le minacce ricevute dai giornalisti nel Lazio corrispondono al 35% del totale delle aggressioni - verbali e non solo - nazionali. Nello specifico i 112 casi sono così divisi: 50 denunce ed azioni legali, 42 avvertimenti, 11 ostacoli all'informazione, 8 aggressioni fisiche e un danneggiamento.

"Abbiamo provato a sollecitare le istituzioni, i comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica provinciali, trovando ascolto a Latina e Roma, ma non risposte o azioni da mettere concretamente in campo. Questi dati hanno costanti linee di tendenza - dice il segretario dell'Asr Lazzaro Pappagallo - Il territorio sconta la presenza di redazioni massicce e importanti. Roma resta sempre la Capitale d'Italia con i suoi riflettori, i suoi coni d'ombra, le insidie nella ricerca della verità".

Ad aggravare la situazione, i nuovi mezzi disponibili ai lettori per insultare o aggredire i cronisti: i social media.
“Sembra che il mare magnum della rete con l'implicita garanzia dell'anonimato o, ancor meglio, della confusione, del mucchio selvaggio, sia altra scorciatoia per comportamenti censori o pressioni illecite"
, ha dichiarato ancora Pappagallo, che ha però ricordato come i mezzi di pressione “standard” come la querela vengano ancora utilizzati. "Sono quasi 6mila i nuovi procedimenti penali per diffamazione, in crescita dell'8% annuo. Il 90% non produce niente, si conclude con un nulla di fatto ai danni dei giornalisti, riscontrano la correttezza del comportamento dei colleghi ma sono generatori di ansia, angoscia, preoccupazione. A 155 giornalisti sono stati inflitti invece 103 anni di carcere anche se questi non si traducono in detenzione”, specidica Pappagallo, sottolineando come molti dei giornalisti siano precari che non possono contare sullo scudo fatto dalle grandi redazioni. Niente garanzie legali, per coloro che già si trovano nella precaria condizione di non avere un posto fisso ma una collaborazione come freelance a partita iva. Pappagallo specifica che questi cronisti, più esposti degli altri, già si trovano a dover lavorare per 9 mila euro annui (se sono Co.co.co) e 14 mila annui (se a partita iva) e non possono quindi “permettersi” una querela.

“Due colleghi sono stati condannati per diffamazione in primo grado dal giudice di Cassino. Il magistrato ha imposto il pagamento della provvisionale per 5mila euro a favore di ciascuna delle due persone che hanno messo in moto il procedimento penale. Uno dei due procedimenti penali chiusosi recentemente riguarda un fatto di cronaca datato 1991, 26 anni fa – racconta Pappagallo - Una delle colleghe in causa Rita Pennarola scrive: 'Preciso che non esercito più né il giornalismo d’inchiesta né quello anticamorra (come avevo fatto per oltre 20 anni) da quando sono diventata bersaglio di azioni esecutive a ripetizione, che sarebbero state forse meno cruente se in quei 20 anni fossi stata io stessa un boss della malavita organizzata'".