Roma
Moravia, Fellini, Pannella, i giornali. La Roma colta che non c'è più
Il nuovo libro di Roberto Cotroneo racconta il mondo dei giornali e degli intellettuali scomparso
di Patrizio J. Macci
Una Roma che non c'è più, un'Italia colta e culturalmente vivace scomparsa.
“Niente di personale” di Roberto Cotroneo pubblicato da Elisabetta Sgarbi per la Nave di Teseo è un viaggio che inizia nella Roma di Moravia e Fellini, dalle stanze della redazione de ''L'espresso'', all’epoca in via Po, dove “anche i raccomandati alla fine diventavano bravi”.
Qui arriva l’autore del romanzo nel 1984 per cominciare la professione di giornalista. In quell'edificio scarsamente riscaldato c’erano consumati inviati ai quali due pacchetti di sigarette bastavano a malapena fino a metà pomeriggio. Ma c’era un’energia, un vigore e una forza intellettuale che permetteva di citare correttamente la Commedia dopo la terza Sambuca senza fallo.
Il romanzo è una wunderkammer dove fanno capolino Pannella, politici comunisti consci della propria forza e uno strepitoso cameo di Giulio Andreotti. Una serie di stanze narrative dove l’autore incontra vecchi amici che raccontano un’Italia in bianco e nero dove i limiti e i contorni delle persone erano forse un po’ scialbi ma ben definiti. Una linea rossa che va dall'Italia agli Usa passando per le ricerche nell'archivio di una parrocchia, a caccia delle proprie radici. Prima dell’avvento dell’appiattimento digitale e del continuo pigiare sui tasti di un telefono senza requie. Le persone ora vagano come fantasmi alla ricerca di una connessione virtuale. Cotroneo sbozza una fotografia in bianco e nero dai toni kubrickiani della Roma cialtrona dei politici e degli intrattenitori che ripetevano episodi e motti raccattati strada facendo rivendendoli come propri, di traduttori in grado di far vincere un premio Nobel ma che negavano i propri servigi all’intelligence straniera.
Ha studiato Umberto Eco a lungo e come lui, ama il gioco linguistico condotto all’estremo prendendo in giro innanzitutto se stesso: si diverte a sbaragliare i draghi linguistici della contemporaneità (i modi di dire sempre e comunque presenti) senza risparmiare il suo passato di confezionatore di quarte di copertina. Un romanzo che a partire dal titolo (assolutamente “falso” rispetto al contenuto) intreccia un’analisi spietata della società digitale con le vicende familiari dell’autore: l’abbacinante vuoto della miseria nella Calabria inizio Novecento, le due nonne che si chiamavano tutte e due Fortunata, i tanti figli morti durante la Grande guerra o l'epidemia di Spagnola.
Uno zio, che espatria in America è la mutazione che scuote l’albero familiare: da lì spedirà soldi per far studiare l'ultimo fratello nato nel 1921, il padre dell'autore che da sarto di paese diverrà un medico e si trasferirà al Nord, a Alessandria, mettendo in piedi anche una famiglia. Il sarto si rivelerà abilissimo nella ricucitura di tessuti umani nella sua seconda vita, senza che nessuno riuscisse a capire il perché.
Forse il titolo allude all'intenzione dell’autore: niente di personale ma noi eravamo così, a tre dimensioni. Ora ne sono rimaste solo due. Le vostre.