Roma
Morire di Covid e di domiciliari: recluso e malato, e la Asl non se ne occupa
Una storia assurda: ha nonna e sorella positive e sta male da 15 giorni. Ma nessuno lo porta in ospedale, né gli fa il tampone, perché è ai domiciliari
di Claudio Roma
Che di Covid 19 si possa morire è un fatto purtroppo acclarato. Ma che un ragazzo di 25 anni possa morire di Covid in casa sua, non curato ma neppure ancora sottoposto a tampone solo perchè "colpevole" di essere agli arresti domiciliari, in attesa di giudizio per reati minori, non è cosa da Paese civile. Eppure succede a Roma, in zona Torre Spaccata.
Senza voler scomodare il principio di non colpevolezza fino alla sentenza definitiva, che pure conta, questa è la storia di Ferdinando Valentino, 25 anni, agli arresti domiciliari per piccoli reati, con la nonna ricoverata per Covid e la sorella positiva, che da quindici giorni ha febbre alta, dolori e tosse e non riceve alcuna assistenza.
La zia Carolina, che vive li vicino (il ragazzo naturalmente non può telefonare essendo sottoposto alla misura cautelare) ha più volte chiamato il 118, che però si è rifiutato di prendere in carico il paziente proprio perchè è ai domiciliari. Il ragazzo, peraltro, non ha nemmeno la certificazione della propria positività al coronavirus: la Asl, anch'essa più volte sollecitata perché andasse a casa a fargli il test, fa orecchie da mercante. Così Valentino non può che curarsi da sé, con il cortisone. Non sta funzionando granché. L'Associazione Giustitalia, che si occupa dei diritti dei detenuti, presenterà un esposto alla Regione Lazio e alla Procura della Repubblica di Roma per appurare se ci siano responsabilità.