Roma
Muore Ciarrapico: andreottiano, romanista, salvatore del Gruppo L'Espresso
Si è spento a 85 anni Ciarrapico, uno dei simboli del potere andreottiano nel Lazio. Dalla sanità, alle acque, all'As Roma
di Patrizio J. Macci
Giuseppe Ciarrapico classe 1934, per i romani Er Ciarra, è stato uno dei simboli del potere andreottiano nel Lazio. Un personaggio contraddittorio e con diverse facce: fisico imponente, tenace e pragmatico: una vera e propria maschera del Potere.
Finanziere spericolato, imprenditore nel settore sanitario (tra le cliniche possedute la Quisisana, Villa Stuart ), editore e tipografo delle opere complete di Mussolini e di altri "testi sacri" per la destra estrema. Committente dei manifesti elettorali del Movimento Sociale Italiano e fascista impenitente, si meritò il soprannome di re delle acque minerali grazie al periodo nel quale è stato il proprietario delle terme e della fonte di acqua minerale Fiuggi (a cui poi aggiunse i marchi Bognanco, Pejo, Recoaro).
Presidente dell'A.S. Roma calcio dal 1991 al 1993, ruolo che dovette abbandonare in maniera rocambolesca dopo l'arresto in seguito a un'accusa di bancarotta fraudolenta. La più grave delle vicende giudiziarie nel quale Ciarrapico è incappato.
E poi editore dei quotidiani stampati nel suo feudo politico: Ciociaria Oggi, Latina Oggi: la catena dei suoi quotidiani si espanse fino a coprire tutto il Lazio. Giornali per i quali è stato accusato e condannato per aver percepito fondi pubblici.
All'inizio degli Anni Novanta consegnò nelle mani di Michail Gorbaciov, il più famoso leader comunista dopo Lenin e Stalin, la somma di 500 milioni di lire con il Premio Fiuggi per la cultura da lui stesso fondato.
In maniera abbastanza misteriosa si ritrovò arbitro nella spartizione della Casa Editrice Mondadori tra Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti, ponendo fine alla lunga "guerra di Segrate". A chiamarlo a dirimere la lite Carlo Caracciolo dietro al quale si nascondeva la longa manus del "Divo Giulio" che voleva impedire tutti i costi che Silvio Berlusconi riuscisse ad aggiungere alla potenza mediatica delle sue emittenti anche un settimanale e un quotidiano.
Il Principe Caracciolo lo ricordava con un detto ai giornalisti del Gruppo l'Espresso: "Dovreste mettergli una statua con una targa all'ingresso degli uffici". Con il suo intervento, infatti, La Repubblica e L'Espresso si erano salvati dall'appetito famelico di Silvio Berlusconi. Con una penna biro e un quaderno a righe di quelli che gli studenti usano alle scuole elementari riuscì a mettere pace dove un'orda di commercialisti e docenti universitari aveva fallito.
Il suo innamoramento politico con Giulio Andreotti scattò del 1954, fra i due c'erano quindici anni di differenza, e avvenne in maniera totalmente fortuita. Andreotti doveva recarsi in visita a un centro ittico a Gaeta, ma una segretaria distratta confuse la data con un altro appuntamento e il giovane politico democristiano trovò solo Ciarrapico nella fabbrica. Da quel giorno divenne il suo amico e protettore.
Ci vorranno diversi anni prima che arrivi in parlamento eletto nel centro-destra berlusconiano con 396mila preferenze. Non pronunciava mai il suo nome quando era assente, ma lo appellava con deferenza, abbassando il tono della voce, "Il principale" anche se non nascose mai una simpatia per il leader socialista "Bettino Craxi". Nel 2008 affermò di aver votato per Rifondazione Comunista.
Parecchi testimoni ricordano come entrando alla Buvette ordinasse "du' capuccini" sgignazzando, mentre con la mano destra tesa imitava il gesto del saluto romano.