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Roma
Negozi aperti 7 giorni su 7: schiavitù moderna. Commessi senza pause né riposo

Negozi aperti 7 giorni su 7 e chiusure posticipate per permettere gli acquisti dell’ultim’ora. Lo shopping di Natale stressa i clienti e fa impazzire i dipendenti di centri commerciali e piccoli negozi.

 

La schiavitù moderna sembra essere diventata quella del commesso, che si alterna coi colleghi in turni massacranti spesso senza poter avere due giorni di stop continuativi.
La situazione, però, non migliora nemmeno al termine delle festività, quando la corsa al regalo da mettere sotto l'albero termina e la “gente comune” torna a godersi la tranquillità familiare.
A darne l'allarme è la Uil, che sottolinea come i dipendenti dei negozi siano spesso trattati come schiavi e durante il proprio turno non abbiano nemmeno la possibilità di sedersi per far riposare le gambe. “Sarebbe sconveniente davanti alla clientela”, si sentono ribadire dal proprio capo-reparto e le conseguenze sulla salute sono disastrose.
Alla Vodafone di uno dei più grossi centri commerciali della Capitale, segnala la Uil, c’è chi, nonostante la giovane età, soffre già di ipertensione e dolori articolari per le troppe ore trascorse in piedi. “Non è un caso che venga assunto prevalentemente personale giovane – commentano i dipendenti – e con contratti quasi sempre a tempo”.
Rimanere per 8 ore in piedi anche se non ci sono clienti, dover chiedere il permesso per andare in bagno – vedendoselo spesso rifiutato – e acconsentire a pause pranzo di pochi minuti, comunque, non garantisce continuità lavorativa. I commessi non vogliono nemmeno affrontare l'argomento contratto: dopo anni di incertezze lavorative si tengono stretti il proprio posto di lavoro e non si lamentano per evitare ripercussioni.
“Ci troviamo di fronte a una situazione davvero paradossale – commenta il segretario generale della Uil di Roma e del Lazio, Alberto Civica – il lavoro o manca o diventa quasi lesivo della dignità umana. Abbiamo incontrato centinaia di dipendenti che pur di lavorare lo fanno in condizioni estreme, non solo senza riconoscimenti ma addirittura mettendo a repentaglio la propria salute e la famiglia. E in questo clima, alzare la testa viene visto come una minaccia da allontanare al più presto. Come Uil ci ribelliamo a questo sistema di sfruttamento. Perché di questo si tratta. E vorremmo almeno riuscire a dar voce a quanti non possono farlo per non mettere a rischio uno stipendio che nella maggior parte dei casi è indispensabile alla sopravvivenza propria e del proprio nucleo famigliare”.
Veronica, dipendente in un negozio di abbigliamento del centro storico romano, racconta di aver rischiato il posto di lavoro per essersi assentata per pochi minuti. Aveva lasciato il figlio piccolo a casa malato con la nonna e stava solo verificando con una breve chiamata che la febbre non si fosse alzata.
Elena, invece, parla delle difficoltà nel dover gestire famiglia e figli durante le domeniche lavorative. Lavora come cassiera in uno dei supermercati Todis e quando le si chiede come mai non si ribelli alla situazione, alza le spalle e risponde: “E poi chi me lo da’ un altro lavoro?”.
È la stessa rassegnazione dei 400 dipendenti degli ipermercati Carrefour che parlano mal volentieri, temendo di essere ascoltati dai responsabili. Lì si lavora tutti i giorni della settimana con apertura no stop.
Drammatica anche la situazione degli oltre mille lavoratori Sma della Capitale sottoposti a continui trasferimenti tra i vari supermercati romani: “Il tutto da un giorno all’altro – raccontano – con il pretesto della produttività oraria”.
Il mondo della tecnologia non funziona diversamente. Otto ore senza interruzione, che spesso diventano 10, anche per i dipendenti Mediaworld dove è impossibile trovare una sedia, uno sgabello anche per riposare pochi minuti. Un dipendente di Mediaworld Primavera, addirittura, racconta che per diverse ore gli è stato negato di andare in bagno.
Non è un caso che i datori di lavoro preferiscano assumere ragazzi giovani e single, che non abbiano in programma sposarsi e fare figli a breve termine. Le donne sono infatti quelle che trovano più difficoltà a trovare e tenersi un impiego. Stando agli ultimi dati diffusi dall’Ispettorato del lavoro, infatti, erano mamme quasi 8 donne su 10 tra coloro che hanno dato le dimissioni dal posto di lavoro nel 2016. E 4 di loro su 10, hanno detto esplicitamente che la ragione delle dimissioni era proprio la difficoltà a gestire figli e lavoro. In Italia l’occupazione femminile su base mensile è di 20 punti inferiore a quella europea e tocca appena il 48,9% contro il 68,5% dell’Europa.
“Dove sono le istituzioni in tutto questo? - domanda Civica - Com’è possibile far passare sotto silenzio un sistema che è sempre più l’antitesi della civiltà? Profitto e interesse hanno preso completamente il posto non solo della vera natura del lavoro ma anche di quell’umanità che dovrebbe essere alla base di qualsiasi rapporto civile. E dove sono i servizi alla persona? Il welfare? Si parla spesso di famiglie, di mamme ma sono solo parole a effetto, buone per le campagne elettorali. Nel concreto, le risposte sono licenziamenti e dimissioni per impossibilità di gestione”.

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