Roma
Omicidio Vannini, il legale di Antonio Ciontoli: “Non voleva uccidere Marco”
Il legale di Ciontoli chiede di ripristinare l'originaria condanna a 5 anni: “In primo grado ci fu una sollevazione popolare indegna di uno Stato di diritto”
Omicidio Vannini: Antonio Ciontoli non voleva che Marco morisse, non voleva che il fidanzato di sua figlia perdesse la vita. "Se si fosse confrontato con l'evento morte non avrebbe agito così come poi ha fatto. Trovarsi in una situazione di rischio e cercare di gestirla non significa accettare l'evento morte".
Con questa argomentazione, l'avvocato Andrea Miroli ha chiesto alla corte d'assise d'appello di Roma nel processo bis sulla morte del ragazzo di 20 anni, raggiunto da un colpo di pistola nella casa della sua fidanzata, Martina, a Ladispoli la notte tra il 17 e il 18 maggio del 2015, di ripristinare l'originaria condanna a 5 anni di reclusione per il sottufficiale della Marina Militare per omicidio colposo aggravato dalla colpa cosciente.
"Una sentenza, quella del primo giudizio di appello, che ha provocato una sollevazione popolare - ha ricordato il difensore -, una cosa indegna in uno Stato di diritto. Eppure Antonio Ciontoli non può essere condannato per omicidio volontario con il dolo eventuale. Lui e neppure i suoi familiari. Adottare un comportamento sia pure biasimevole in una situazione di rischio, evidentemente mal governata, non significa che l'imputato ha voluto la morte di Marco. Antonio Ciontoli, così come i suoi familiari, era convinto che la lesione al braccio di Vannini provocata dal colpo d'arma da fuoco non fosse letale. Non c'è evidenza in questo processo che i Ciontoli fossero consapevoli della gravità della lesione riportata da Marco. E se non c'è consapevolezza significa che nessuno ha aderito all'evento morte. Io mi comporto così come mi sono comportato perchè penso che la pallottola si sia conficcata nel braccio e non ho alcuna consapevolezza che sia una lesione mortale".
Di diverso avviso era stato la scorsa udienza il sostituto procuratore generale Vincenzo Saveriano che si era espresso per la condanna di Antonio Ciontoli, della moglie Anna Pezzillo e dei figli Federico e Martina a 14 anni di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale. L'intera famiglia, aveva sottolineato il magistrato, è responsabile di aver ritardato i soccorsi, lasciando morire per dissanguamento Vannini, per il timore che il sottufficiale della Marina perdesse il posto, e di aver mentito in continuazione impedendo che venisse fatta chiarezza completa su quanto accaduto.
Per l'avvocato Miroli, i familiari di Ciontoli devono essere assolti dal reato più grave. E se la corte d'assise d'appello li ritenesse comunque colpevoli, madre e figli dovrebbero poter rispondere, in subordine, del reato di omissione di soccorso oppure di omicidio colposo o, in ultimo, di favoreggiamento. "Resta comunque che una condanna di Antonio Ciontoli e della famiglia per omicidio volontario con dolo eventuale sarebbe ingiusta. Perché - ha ripetuto ancora una volta il penalista - nessuno ha aderito all'evento morte e perché tutti hanno sottovalutato la portata della ferita, la cui unicità sta nel fatto che non ha comportato alcuna fuoriuscita di sangue. Se ci fosse stato del sangue, nessuno dei Ciontoli si sarebbe comportato come poi è successo. E invece il sangue non c'è stato, Marco Vannini ha avuto un'emorragia, purtroppo solo interna".
Secondo l'avvocato Miroli, insomma, "anche i familiari di Ciontoli non potevano sapere quanto fosse grave quello che era accaduto. Hanno creduto tutti ad Antonio. Per come è strutturata quella famiglia, nessuno se l'è sentita di mettere in discussione l'autorità del padre, per una serie di ragioni anche culturali".