Pasolini, la chiave del delitto è nel dna trovato sui pantaloni di Pelosi
L'ultima rivelazione: “La Dc pagò con 50 milioni l'avvocato di Pino Pelosi detto la rana”
di Patrizio J. Macci
Chiuse per sempre, tombate. Le indagini sull'omicidio di Pier Paolo Pasolini a quarantun'anni dall'omicidio sono state archiviate dalla Procura di Roma apparentemente per sempre. Simona Zecchi autrice del volume "Pasolini -Massacro di un poeta" (Ponte alle Grazie editore) a un anno dall'uscita del volume (con il quale ha vinto la decima edizione del premio Marco Nozza giornalismo d'inchiesta e informazione critica ), fa il punto su quanto accaduto dopo l'uscita del suo libro, sui misteriosi contenuti di alcune cassette di sicurezza e sulle rivelazioni tardive di alcuni protagonisti dell'epoca.
Gli elementi per aprire un nuovo filone d'inchiesta ci sarebbero tutti, la verità sull'omicidio del più importante intellettuale italiano del Dopoguerra è ancora rintracciabile nelle carte giudiziarie.
Chiuse per sempre. Le indagini sul Caso Pasolini sono definitivamente archiviate come il Caso Orlandi oppure qualcosa bolle ancora nella pentola della Procura?
"Non ci sono notizie su eventuali nuove indagini della Procura di Roma, ma mi sento di dire che un'apertura di un nuovo filone d'inchiesta potrebbe rivelarsi l'unica concreta possibilità a oggi, anche a fronte ormai dell'improbabile apertura della Commissione Parlamentare d'inchiesta monocamerale annunciata nei mesi scorsi. Comunque un'archiviazione, nel caso in questione, non è sinonimo di sigillo definitivo alle indagini. L'archiviazione è una sentenza che si può riaprire”.
Alcuni parlano di profili genetici dai quali si potrebbero ancora ricavare identificazioni incrociando ulteriormente i dati...
"Stando alle ultime novità, secondo la genetista Marina Baldi ci sarebbe la possibilità - attraverso l'uso di altri tipi di esami accostati a quello sul DNA - di risalire quanto meno a una terza identità, il terzo ignoto di coloro i quali - e sono stati tanti - hanno avuto un ruolo operativo nel delitto quella notte. In realtà, secondo quanto emerge dalle carte archiviate, e precisamente proprio dagli esami della Scientifica, diversi sono gli elementi dai quali si potrebbe ripartire. Di alcuni di questi, per quanto è possibile a un giornalista, ho scritto nel mio libro. Elemento non unico ma molto importante è proprio il profilo mancante individuato sui pantaloni di Pelosi, intrisi di sangue come anche indicano gli investigatori, e come è anche riferito nell'analisi del DNA effettuata sugli stessi. Sui pantaloni è presente infatti solo il profilo genetico di Pasolini (tre profili), mentre con il supporto di altri esami aggiuntivi al DNA potrebbe emergere l'altro, il quarto individuato ma non identificato. Le macchie relative a quel quarto profilo sono state accuratamente cancellate prima del trasferimento dei reperti presso il museo criminologico di Roma avvenuto nell'ottobre del 1985. Sui pantaloni, infatti, gli stessi della foto, quell'alone enorme di sangue non c'è più, ma la Scientifica ora ne ha individuato le tracce. Non solo: nelle stesse carte e altrove molti sono gli elementi investigativi dai quali si potrebbe ripartire, alcuni con risvolti inediti. Esistono poi dei riferimenti alla strage di Piazza Fontana, documenti e lettere fino all'anno scorso inediti che, insieme a indizi di tipo fattuale, possono spostare la ricerca della verità oltre le dinamiche di quella notte e quelle della fiction”.
L'avvocato Marazzita ha affermato che il legale di Pelosi all'epoca ricevette la somma, significativa per quel periodo, di 50 milioni di lire dalla Democrazia Cristiana per assumere la difesa di "Pino la Rana". Una notizia inedita e inquietante...
"Nino Marazzita dovrebbe spiegare perché parla solamente a distanza di ben 41 anni. L'avvocato Mangia a quanto mi consta è deceduto solo nel 2012, anno in cui le indagini preliminari della Procura di Roma erano in pieno corso. Forse Marazzita poteva fare in modo che fosse sentito dalla Procura? Come è ampiamente noto, poi, oltre a essere stato difensore di Pelosi al tempo del processo - e anche successivamente fino almeno all'anno 2000 stando agli elementi di cronaca e giudiziari rintracciabili - Mangia è stato anche l'avvocato della criminalità organizzata, maggiormente di Nicolino Selis, elemento della banda della Magliana, quella parte della banda "di strada", nata in carcere dal quale Selis evade - casellari alla mano - l'11 novembre del 75 e prima ancora degli assassini del Circeo”.
Un altro avvocato del Caso Pasolini, Guido Calvi, era l'intestatario di una cassetta di sicurezza nel caveau depredato da Carminati. Però ha affermato che all'interno vi era la sua collezione di penne e poco altro. Anche questa è una coincidenza o c'è altro?
"Sia a Marazzita sia a Calvi (a leggere l'Espresso - almeno - e al netto dei riquadri presenti a pagina piena dello scoop sulla lista delle vittime del furto al Caveau) sarebbe stato sottratto del contenuto dalle loro cassette di sicurezza. Le risposte date dai diretti interessati al riguardo non dicono molto. Marazzita non ne fa riferimento, eppure il suo nome c'è. Calvi parla di penne Montblanc regalategli da clienti indigenti. A prescindere dal fatto, certo, che nessuna delle vittime del furto ha mai denunciato la scomparsa di dossier, e che i nomi della lista scovata dall'Espresso possono dirsi divisi in due tipologie di vittime, i "corrotti" e i "nemici", è altrettanto vero che i segreti di molti potevano fungere da leva per cambiare il destino carcerario di altrettanti - come in parte è avvenuto - o anche per altri motivi soltanto indirettamente legati a delle sentenze. Il 1999 è lo spartiacque di molte cose: dei segreti di ieri e di quelli di oggi. Certo Carminati & co. non hanno aperto cassette di uscieri e cancellieri che anche avevano lì, come cittadini comuni, i loro effetti privati. Possono esserci delle ragioni inconfessabili, che vanno dritte al cuore di molti fatti precedenti al 1999”.