Pasquino non parla più italiano e diventa “internazional”. Addio al romanesco
Ai piedi della statua dietro piazza Navona, “pizzini” scritti a mano solo in lingua straniera
di Valentina Renzopaoli
Pasquino impara le lingue e dimentica l'italiano; il romanesco è ormai vulgata sconosciuta.
La statua parlante più celebre di Roma, quella che per secoli ha raccolto e “dato voce” al malcontento popolano, perde la sua identità linguistica e diventa internazionale. Sulla “bacheca” spontanea ai piedi del frammento statuario, all'angolo tra via di San Pantaleo e via di Pasquino, alle spalle di piazza Navona, sono esposti in bella vista, uno sull'altro, foglietti e “pizzini” scritti a mano, come da tradizione, ma in lingue straniere. Dal tedesco, all'inglese, al russo alle parlate dell'est europeo. C'è persino qualche grafia in arabo.
Un'impresa reperire, tra “post it” e bigliettini sovrapposti, qualche riga in italiano o in romanesco. Una filastrocca sopravvive, sotto sotto, a tradire l'antica data dell'apposizione. Pasquino dimenticato dai romani quindi, e “affittato” dai nuovi cittadini della capitale o dai turisti di passaggio, in vena di satira o semplicemente di lasciare una dedica o un'invettiva.
La statua di Pasquino è un frammento di un antico gruppo ellenistico, probabilmente raffigurante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo morente, colpito da Ettore nella guerra di Troia. Il cardinale Oliviero Carafa aveva comprato dagli Orsini l'edificio che sorgeva dove oggi è palazzo Braschi e si era adoperato a sistemare la piazzetta, lastricandone il fondo. Così, nel bel mezzo dei lavori, nel 1501 venne tirato fuori dal fango questo antico gruppo marmoreo che il cardinale fece sistemare all'angolo del suo palazzo, collocato su un piedistallo.
Sull'origine del nome Pasquino ci sono diverse interpretazioni: chi lo vuole riferito ad un oste, chi ad un barbiere, chi ad un maestro di scuola e chi ancora ad un ciabattino.
Nella Roma dei Papi, si iniziò ad utilizzato per esprimere pungenti satire anonime verso chicchessia, ma con il tempo si "specializzò" in feroci satire politiche, perlopiù indirizzate verso il pontefice o, comunque, verso i personaggi in vista dell'epoca, tanto che questo genere di "messaggistica" fu detta "pasquinata".
Nella Roma di un tempo Pasquino era la statua che per eccellenza mostrava il malcontento del popolo. Nell’arco dei secoli, verso dopo verso, questa forma di esprimersi silenziosa, ha simboleggiato per i romani che punteggiavano con i loro commenti, gli eccessi di un sistema col quale si conviveva con sufficienza.