Roma

Pd, la Caporetto a Roma scritta nei numeri. Hanno fatto finta di non vederli

Il think tank MappaRoma aveva previsto il trend negativo Dem con gli open data. Per ironia, l'attuale classe dirigente dovrà scegliere il candidato alla Regione

Lontani dalla periferia e prigionieri della Ztl con puntate a Capalbio, Macchiatonda e Pescia Romana: è la fotografia del Pd romano dal 2018 ad oggi, riassunta egregiamente dall'associazione MappaRoma, un think tank di matrice universitaria che analizza “i dati” della città e arriva alle conclusioni molto prima dei sondaggisti.

Ebbene la sconfitta elettorale non era nell'aria ma quasi programmata a partire dai risultati elettorali del 2018, lunga coda di un partito che aveva cacciato il suo sindaco spedendo i “pretoriani” dal notaio. Dunque nel 2018 gli esperti di MappaRoma scrivono: “La coalizione di Centrosinistra (formata da PD, +Europa, Insieme e Civica Popolare) prevale solo nei quartieri più centrali (40%) e, diversamente dal 2016, ma di pochissimo, nella periferia storica intorno all'anello ferroviario (quasi 31%, peraltro egemonizzata dal centrosinistra fino al 2013), con un andamento molto simile per PD e +Europa, nettamente decrescente allontanandosi dal centro della città. Ciò è coerente con le analisi a livello nazionale che mostrano il centrosinistra confinato nei centri urbani e una maggiore propensione al voto per il PD nelle classi medio-alte, cosicché sembra essere stata la condizione socio-economica a decidere le elezioni “.

Gli analisti di MappaRoma avevano previsto l'esito leggendo i numeri

Così poco prima delle elezioni di fine estate, Keti Lelo, Salvatore Monni e Federico Tommasi, mettono nero su bianco l'analisi del voto che si evince dai trend dei big data romani e sentenziano: “Un ampio vantaggio del centrosinistra sul centrodestra è solo nel collegio Camera 1 dove è candidato Ciani contro Spena... Al Senato la situazione è di vantaggio per il centrodestra ovunque, ma di pochissimo nel collegio Senato 2 (municipi I, II, parte dell'VIII, XI, XII, XIII, XIV e XV) con Bonino contro Mennuni (e Calenda per Azione e Italia Viva a poca distanza), di 3 punti percentuali nel collegio Senato 4 (municipi VII, parte dell'VIII, IX e X più Ciampino e Fiumicino) con Cirinnà contro Mieli, e di ben 7 punti nel collegio Senato 3 (municipi III, IV, V e VI) con Catarci contro Bongiorno. Prendendo per buone queste stime, senza contare i comuni dell'hinterland dove comunque il centrodestra è più forte, avremmo il risultato da cui siamo partiti”.

Persino Zingaretti aveva vinto le elezioni regionali per un pugno di voti nel Gra

Insomma, il risultato elettorale romano era scritto da tempo ed era facile intuire che, senza un cambio di rotta, la roccaforte Roma sarebbe caduta miseramente. E anche andando indietro nel tempo, per esempio all'affermazione di Zingaretti, gli open data dicono chiaramente che ”La vittoria di Zingaretti nel Lazio, che è dipesa da un margine di soli 55mila voti in tutta la regione rispetto a Parisi, e che si è basata basa in primo luogo sulla parte di Roma dentro al GRA, dove ha ottenuto 157mila voti più di Parisi e 184mila più di Lombardi”.

Il congresso a marzo obbliga la classe dirigente in carica a esprimere il candidato per le regionali

Ora, con la Direzione nazionale del pd che ha pianificato il congresso a marzo 2023, è evidente che tutta la classe dirigente romana che ha sedotto il Centro Storico e ha lasciato le periferie al Movimento Cinque Stelle e a Fratelli d'Italia sarà la stessa che dovrà destreggiarsi nella ricerca di un candidato alle Regionali del Lazio della prossima primavera, col rischio che senza un rinnovamento, si prosegua col trend catastrofico degli ultimi anni. A destra hanno già capito il punto debole e dall'inizio della settimana hanno iniziato a bombardare “ad alzo zero” la Regione Lazio e il presidente Zingaretti, chiedendo dimissioni immediate. Da notare che il sito web del Pd Lazio è fermo al 6 settembre scorso. Come se le elezioni non ci fossero mai state. E dire che Enrico Letta aveva capito già all'inizio dell'estate che il Pd a Roma era diventato un partito di “fighetti” lontano dalla gente e chiuso nel Palazzo. Tant'è che aveva alzato la voce e stoppato la ridda di nomi pronti a candidarsi per sedersi in Regione, rinviando ogni trattativa e negoziato al posto voto di settembre. Ora siamo a ottobre e il partito romano e regionale è in freezer alle prese con i postumi della vicenda Albino Ruberti e lo scandalo contabile delle mascherine di inizio pandemia.