Roma
Pennacchi: “Io quel libro non lo voglio fare” e lo pubblica due volte. Il caso


Antonio Pennacchi ha rimesso mano al suo romanzo del 1998 “Una nuvola rossa”, il titolo è cambiato “Il delitto di Agora – Una nuvola rossa”
di Patrizio J. Macci
Antonio Pennacchi ha rimesso mano al suo romanzo del 1998 “Una nuvola rossa”, il titolo è cambiato “Il delitto di Agora – Una nuvola rossa” (Mondadori editore). Il romanzo in presa diretta racconta un duplice delitto a sfondo passionale ambientato in paese immaginario dell’Agro-Pontino, Agora, terra d’elezione dei libri di Pennacchi. Altro non diremo della trama perché animata da colpi di scena fino all’ultima riga.
Lui il libro non lo voleva fare (lo afferma immediatamente nell'incipit), invece lo ha firmato e pubblicato per due volte. Lo scrittore torna sul luogo del delitto letterario. Ne valeva la pena perché il libro è un gioiello che rischiava di rimanere relegato in una edizione oramai difficile da reperire in commercio. La seconda volta, insoddisfatto, addirittura ha cambiato il finale.
Non c’è nulla di “normale” nei territori accarezzati dal racconto di Pennacchi, i personaggi si muovono sullo sfondo di un passato che è il dna dei loro comportamenti: “A Cisterna la squadra di calcio ha avuto il campo squalificato per anni per le botte e i tumulti”, oppure i continui riferimenti al suo passato di operaio, una pietra di paragone rispetto alla sua attuale attività professionale di scrittore con la quale setaccia i verbali degli indagati.
È un libro nuovo di zecca rispetto all’edizione del 1998 nato dall’ispirazione di Alessandro Panigutti giornalista di Latina Oggi, che ha imbeccato l’autore con le carte giudiziarie stimolando una profonda riflessione sull’impossibilità di conoscere la verità in maniera assoluta.
Pennacchi è uno dei pochi scrittori nei quali il testo non è il morto dell’orale ma si trasforma in spumeggianti riflessioni sociologiche, antropologiche, espressioni dialettali che inchiodano il lettore alla pagina e lo fanno sorridere. Un romanzo corale dove il delitto è il pre-testo per sbozzare i caratteri tipici degli italiani, le loro debolezze, i pregiudizi, i cambi improvvisi di rotta davanti all’autorità. Pennacchi sfodera la sua conoscenza dei testi classici rimuginando sui luoghi comuni “(...) la ricostruzione dei fatti è sempre approssimativa, sempre piena di ombre, di incongruenze. Come nella storia: “Ognuno la racconta come gli pare. Tacito dice che Nerone è un porco. E tutti a credergli. Per migliaia d’anni. Ma vai a vedere per davvero la storia com’è andata… ma non è proprio il mio mestiere. Io non sono capace. Per me Nerone è stato un santo” e tira fuori dalla sua biblioteca personale carte ed eventi storici e documentazione a sostegno.
A libro chiuso sapere che il criminale terrorista Cesare Battisti è nato e cresciuto proprio in quel fazzoletto di paesi aggiunge un’altra sottile inquietudine. Alla giustizia degli uomini molto raramente corrisponde la verità storica suggerisce Pennacchi. I morti ammazzati rimangono tali e troppo spesso non riposano in pace.