Roma
Pescocostanzo, il grido disperato del sindaco: “La montagna sta morendo”
Il primo cittadino di uno dei borghi più belli d'Italia scrive a Conte e ai parlamentari abruzzesi: “Decreto ristori? A noi poco e nulla, così siamo condannati”
E' uno dei borghi più belli d'Italia, con poco più di 1000 abitanti che in estate si moltiplicano per 10. Al secondo inverno di blocco delle attività turistiche lancia il grido d'allarme attraverso una lettera che il sindaco Roberto Sciullo ha scritto al presidente del Consiglio e ai parlamentari abruzzesi: “Il decreto Ristori uccide la montagna perché a noi arriva a mala pena l'1 per cento e senza un provvedimento ad hoc siamo destinati a morire”.
Carissimo Presidente,
Carissimi Senatori e Deputati Abruzzesi,
oramai è un anno che stiamo combattendo contro questo mostro dalle mille teste che si chiama Covid 19. Un anno di battaglie contro ogni singola testa che rappresenta un problema per l’intera umanità. Innanzitutto questa pandemia è un problema sanitario. Tutti ricordiamo il numero di morti, i camion di Bergamo, i pianti dei parenti che non hanno potuto riabbracciare i propri cari, gli occhi dei sanitari, le terapie intensive piene. Problema che ha investito tutti indistintamente, ma vieppiù le donne e gli uomini di montagna.
Per noi una terapia intensiva è, prima di tutto, un luogo da raggiungere, per noi la sanità è solo il medico di base, per noi l’ospedale dista chilometri e spesso rappresenta solo la base per un nuovo viaggio, per noi l’arrivo di un’ambulanza non è una cosa così scontata, i fattori e le variabili sono tante. Ma abbiamo stretto i denti, siamo stati come nostro solito diligenti e rispettosi delle regole, non abbiamo mollato di un solo millimetro.Non molliamo perché sono anni che viviamo affidandoci ad una forza soprannaturale, alla speranza.
Altra testa di questo mostro è l’implosione del sistema scolastico. Per la prima volta i nostri ragazzi hanno conosciuto la DAD, il senso di alienazione nello stare da soli davanti ad una macchina. La distanza. Anche questo problema è stato diverso per i nostri ragazzi di montagna. Quella distanza non era solo mentale, ma propriamente fisica.
A questo senso di smarrimento, però hanno dovuto aggiungere tante altre cose. La lentezza del collegamento, le continue interruzioni dello stesso, l’energia elettrica che, causa nevicate, salta in continuazione, la paura di non poter tornare più a scuola perché non è semplice avere un autobus in più e, quando si è fortunati e si riesce ad averlo, l’ansia di sapere che si potrebbe rientrare a casa non prima delle 16,00. Si, perché i nostri ragazzi per andare a scuola, per accedere a quel diritto costituzionalmente garantito, devono fare ore di viaggio, non sempre agevole, si! Ma loro sono ragazzi temprati e si sono adattati a tutto, hanno stretto i denti e non hanno mai mugugnato.
Il problema sociale-relazionale. Il dover stare chiusi in casa ha acuito una serie di comportamenti deviati, ha messo a nudo alcune sovrastrutture artificiosamente costruite, le ha spogliate proprio dell’artificiosità. Ma noi non potevamo uscire sui balconi a cantare perché di fronte avevamo una casa vuota o se più fortunati, un albero, una montagna, il lento cadere della neve, che non sempre è poetico, a volte diventa alienante. In questa situazione anche l’occupazione del Campidoglio americano ci è sembrata una cosa lontanissima, da noi, dai nostri problemi, dalla nostra quotidianità.
La testa che sta determinando il problema economico.
La necessità di chiudere le attività commerciali, artigianali, sportive, soprattutto durante le vacanze natalizie. Anche queste scelte determinano conseguenze diverse. In una situazione di normalità, la chiusura di un’attività per quindici giorni determina un mancato incasso per quindici giorni. Nelle aree di montagna non è così. No, perché noi non possiamo programmare il nostro lavoro sullo scandire delle giornate, perché a noi le singole giornate sono diverse, dipende dal periodo nelle quali le stesse ricadono. Per noi bisogna battere il ferro quando è caldo e, in alcuni periodi dell’anno, bisogna lavorare anche h24. Si, lavorare incessantemente per l’intera giornata e per quei giorni, per fare cassa e poter “campare” nel restante periodo dell’anno. I quindici giorni di chiusura natalizia non ci hanno determinato un mancato introito di quindici giorni, ma una decurtazione del 25% delle nostre entrate. I week end chiusi non significa perdere quell’introito quotidiano, ma l’intera settimana di incasso. Significa morire. E con questo non vogliamo assolutamente sostenere che bisogna riaprire tutto, ma semplicemente che, forse, le singole situazioni vanno e devono essere valutate diversamente.
Ma il covid 19 per le aree di montagna rappresenta un altro gravissimo pericolo, quello antropico.
Lo spopolamento delle aree interne, vieppiù di quelle di montagna, è una realtà con la quale facciamo i conti oramai da anni. Questa pandemia potrebbe rappresentare il colpo di grazia. Quanto possiamo ancora resistere? Ve lo siete chiesti? Bene è ora che ve lo chiediate. La montagna potrebbe sparire come concetto antropico, come realtà economica, come possibilità di scelta di vita, come alternativa sociale. Non credo che possiamo permetterlo.
Che fare.
Ho provato a fare un conteggio degli abitanti della montagna, non raggiungono quelli di una città. Se si continuano a fare decreti ristori (per carità ben vengano) che distribuiscono percentualmente e su coefficiente numerico, noi siamo destinati a soccombere. Di quelle risorse, nemmeno l’1% raggiunge gli abitanti della montagna. Non possiamo più competere, non possiamo più resistere, noi, se si continua così, non ce la faremo, ma non a sconfiggere il Covid 19, non ce la faremo più a campare.
Quanto costerebbe allo Stato un decreto ristori per noi abitanti della montagna?
Un decreto che però, messo in debita evidenza le peculiarità di cui sopra, oltre molte altre che per brevità non posso esporre, rappresenti davvero il totale ristoro di quanto perso e se volete anche di più, come ristoro di tutti quei servizi che a noi ci sono inibiti. Io credo nulla rispetto al valore che noi diamo al sistema Italia, con la rete dei borghi, con lo sport, con il preservo della natura, di cui ne beneficiano tutti.
Vi chiedo, a nome di tutti gli abitanti della montagna, finalmente, un atto di coraggio ed un intervento serio che ci permetta di sopravvivere, iniziando dall’esentarci dal versare al fondo di solidarietà. Sarebbe un inizio accattivante.
Mi scuso per il tempo rubatoVi e spero in un cenno sulla nostra sopravvivenza. Sempre nel rispetto,
IL SINDACO
Avv. Roberto Sciullo