Roma
Piazza Vittorio, così si "faceva mercato". Dalle grida alla babele: la fame dei romani
di Patrizio J. Macci
C'era una volta a Roma il Mercato all'aperto di Piazza Vittorio, nel cuore del quartiere Esquilino delimitato da forme geometriche sabaude, l'unico a Roma ad ospitare una piazza con portici imponenti. Era un mercato disposto intorno all'agorà in maniera circolare, con i banchi su due che esponevano le loro merci. Aveva una storia antica come Roma; era nato spontaneamente nel primo decennio del Novecento in un quartiere con una spiccata vocazione commerciale. Un luogo di vendita con una spiccata impronta teatrale, i banditori sopratutto quelli di frutta e ortaggi erano soliti urlare per attirare l'attenzione dei clienti. Un "suk" alla romana dove si poteva spuntare il prezzo più basso dopo trattative all'ultimo sangue. Qui si aggirava uno dei personaggi di Carlo Emilio Gadda del "Pasticciaccio" o forse Gadda stesso in cerca di ispirazione per i neologismi da inserire nei suoi libri.
Per motivi urbanistici, sanitari e di viabilità, all'inizio degli anni Novanta è cominciata la delocalizzazione all'interno di una caserma in disuso. Ci sono voluti dieci anni di lotte, petizioni, riunioni, dispute per arrivare al 2001 quando il trasferimento è stato ultimato. Nel frattempo aveva mutato anche il genere di merci che venivano sdoganate: alla frutta avevano cominciato a unirsi cibi, spezie, e ortaggi provenienti dalle località più disparate del mondo. La vicenda umana di questo luogo e delle persone che lo affollano, perdigiorno, spicciafaccende, persone che non sanno come sbarcare il lunario e si inventano una professione dalla mattina alla sera è rappresentato in maniera magistrale nel volume di Emilia Martinelli e Angela Rossi "Al di là dei frutti" pubblicato da Iacobelli Editore. Un volume "sensoriale" che attraverso l'evocazione delle merci che si possono trovare nel mercato, delle fotografie e di alcune preziose e accurate ricette culinarie, racconta un universo che è riuscito a ricontestualizzarsi senza entrare in urto con il tessutto connettivo della Capitale.
Il mercato è diventato uno spazio globale, una babele di lingue e di esperienze, aperto a persone ed esperienze provenienti da ogni parte del mondo senza esclusione, affollato di merci ma soprattutto di esseri umani che danno un senso al traffico economico. A unire i fili di questa rete ci sono gli operatori sociali e le organizzazioni di volontari che tessono trame tra i banchi incessantemente.
Il volume è impreziosito da una gemma, un racconto di Erri De Luca sulla fame e i suoi effetti, una perla in prosa su cosa significa non avere nulla di che sfamarsi e il non poter chiedere a un "prossimo" che sembra essere scomparso.