Roma
Mafia Capitale, come governa la Roma affamata? Prati rasati e spesa ai poveri
A Roma i cittadini delle periferie accettano l'aiuto di Mafia Capitale per combattere degrado e crisi economica. L'intercettazione
di Patrizio J. Macci
Roma non è dominata dalle mafie, ma la mafia c’è. Il primo problema che rende impossibile l’assoggettamento a una sola organizzazione è quello della dimensione: l’area che occupa Roma Capitale, sulla quale risiedono tre milioni di persone, è maggiore della sommatoria di quella di tutte le altre nove più grandi città italiane.
Questa la chiave di lettura della presentazione del volume “Modelli Criminali – Mafie di ieri e di oggi” (Laterza Editore) firmato da Raffaele Pignatone Procuratore Capo della Repubblica e da Michele Prestipino Procuratore aggiunto. Ma a spiccare durante la serata è stata l’analisi di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di S. Egidio, uno che Roma l’ha davvero percorsa a piedi attentamente e l’ha vista cambiare dagli anni delle periferie di Pasolini fino al Litorale dominato dai clan Fasciani e Spada ai palazzoni di Tor Bella Monaca roccaforti dello spaccio di stupefacenti.
“In questo momento storico” ha sottolineato Riccardi “le periferie soffrono la mancanza di luoghi di aggregazione, l’assenza dei corpi (sociali) intermedi (sedi di partito non più esistenti) le parrocchie che non riescono più a svolgere il proprio ruolo, i comitati di quartiere dove ci si riuniva per il confronto e dove spesso poi interveniva il politico che raccoglieva il malessere e se ne faceva interprete e, nei limiti del possibile, cercava soluzioni. Ora i cittadini si rivolgono ai criminali anche per risolvere i problemi della quotidianità amplificati dalla crisi economica”.
L'INTERCETTAZIONE
Le sue parole trovano la conferma in un episodio riportato nel testo che vale più di una sentenza. Durante una telefonata un narcotrafficante così si esprime parlando di un certo Bruno che gestisce una piazza di spaccio nella periferia sud di Roma.
“Sai ora Bruno è diventato intelligente. Lo sai che fa? Sotto i portoni dove vende la roba chiama quelli per pulire... gli fa pulire i prati... gli sta rifacendo i prati sotto casa della gente... qua, dice, la gente mi deve volere bene altrimenti qui mi mandano “bevuto”. Ho comprato i fiori, la gente è contenta. (…) fa la spesa a quelli che non hanno i soldi per mangiare. Ammucchia le buste del supermercato e poi le divide: una a questa una a quello. La gente ti deve volere bene dove vendi la roba”.
Roma è “città aperta” (purtroppo) per le organizzazioni mafiose, che sembrano conviverci, riconoscendosi reciprocamente, per non perdere alcuna delle potenzialità che la città può offrire. I morti per strada non servono a nessuno, il crimine ha bisogno di una zona franca per il riciclaggio e il traffico di stupefacenti, per qualsiasi altra attività idonea a produrre ricchezza e per reinvestire e riciclare quella illecitamente guadagnata altrove.
Un episodio raccontato a chiusura dell'incontro scolpisce la diffidenza che sottolineava la possibilità che a Roma ci fosse la mafia. Il giorno precedente all’emissione degli avvisi di garanzia e agli arresti i due magistrati al cospetto di un intellettuale di chiara fama si sentirono dire: “La Mafia a Roma è impossibile che esista, è una questione di dna. Casomai un po’ di corruzione ma quella c’è sempre stata.” La fine, anzi la sentenza, è nota.