Processo Cerroni, il "maresciallo vacilla". "Intercettazioni funzionali solo all'accusa"
Una raffica di domande, per la precisione centoventi, srotolate nel corso di un contro esame da centottanta minuti che ha incalzato e demolito il “povero” maresciallo dei Carabinieri Massimo Lelli, uno dei testi chiave dell'impianto accusatorio del processo che vede alla sbarra Manlio Cerroni e altri sei imputati. Per l'intero collegio difensivo, quella di venerdì 11 marzo è stata un'udienza chiave dell'intero processo che va avanti ormai da oltre ventuno mesi: l'avvocato Luigi Panella, difensore dell'ex Direttore del Dipartimento Territorio della Regione Lazio Raniero De Filippis, ha infatti tentato di dimostrare che l'intera indagine sul filone che riguarda l'iter autorizzativo del gassificatore di Albano Laziale, finito in una mega informativa da 1.200 pagine, è stata “esclusivamente finalizzata a cercare elementi funzionali al teorema accusatorio”.
E il tentativo sembra essere riuscito bene, visto che l'avvocato ha ottenuto dall'ufficiale di pg una dichiarazione che segna un punto importante a suo favore. Lelli, a capo della sezione operativa centrale del Comando Tutela Ambiente, ha infatti spiegato che le attività investigative e la selezione delle telefonate intercettate in quasi cinque anni di indagini, si inserivano all'interno della “cornice della commissione di reati”. E questo, secondo le difese, avrebbe impedito di investigare anche in altre direzioni, seguendo magari percorsi che avrebbero potuto dare una diversa chiave di lettura e valutazione. Traducendo l'interpretazione del collegio difensivo, sembrerebbe che le intercettazioni sarebbero state appositamente selezionate per essere funzionali alla tesi dell'accusa. Cosa che invece non è previsto dal codice di procedura penale che, all'articolo 388 prevede che il pm è obbligato a svolgere accertamenti anche a favore della persona sottoposta a indagine.
Ma quali sono gli elementi mancanti secondo il legale, esperto di reati ambientali e diritto penale commerciale? “Per sei mesi abbiamo assistito a interrogatori basati sul presupposto che il gassificatore di Albano Laziale non si poteva fare, ora i fatti e i documenti smentiscono questo assunto. Così come la tesi giuridica: la sentenza del Tar del 2010 e ancor più quella del Consiglio di Stato del 2012 stabiliscono che i decreti commissariali n. 116 del 2007 e n. 147 del 2007 di Marrazzo (con cui è stato approvato il progetto definitivo del gassificatore) erano legittimi”, ha spiegato l'avvocato Panella. “Ma la cosa più importante che sta emergendo è che, al contrario, è stato il provvedimento di valutazione di impatto ambientale con esito negativo emesso il 24 marzo 2008, ad essere stato caratterizzato da una serie di illegittimità clamorose”. Quali avvocato? “Per prima cosa non è stata rispettata l'applicazione dell'articolo 10 bis della legge 241/90 con cui la Regione avrebbe dovuto comunicare al Consorzio Coema i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, il cosiddetto “preavviso di rigetto”; in secondo luogo il provvedimento firmato da Bruno D'Amato e Giovanna Bargagna, non portava la firma, come invece è previsto dalla legge, del Capo del Dipartimento ricoperto allora da Raniero De Filippis. Inoltre D'Amato non aveva aspettato il parere geologico da lui stesso richiesto il 9 gennaio precedente e rilasciato solo a giugno (favorevole con alcune prescrizioni). Ma la cosa clamorosa è che su tutto questo la polizia giudiziaria non ha indagato. Così come non lo ha fatto sui rapporti tra D'Amato e l'allora assessore all'Ambiente Filiberto Zaratti”.
Secondo la ricostruzione delle contro-indagini difensive dell'avvocato Panella, infatti, D'Amato si sarebbe consultato con Zaratti, esponente di Sel da sempre contrario al gassificatore, prima di emettere il provvedimento: il politico quindi e non un referente diretto di tipo amministrativo, gli avrebbe detto che non era necessario rispettare l'articolo 10bis, accelerando quindi i tempi. “Di fatto la Via negativa è del 25 marzo, siamo alla vigilia delle elezioni del 13 e 14 aprile 2008: dal nostro punto di vista è legittimo chiedersi se vi fosse stato un collegamento tra il provvedimento e la “caccia” ai voti, tra l'altro proprio nel bacino elettorale di riferimento di Zaratti, quello dei Castelli Romani. Ma su questo l'ex assessore non è stato interrogato”, conclude Panella.