Prostituta, tossica, coatta. I mille volti “caravaggeschi” di Marika De Chiara
L'attrice Marika De Chiara vincitrice del Premio Speciale Proarte 2017 promosso dall'Anci
di Patrizio J. Macci
Prostituta, coatta, “tossica”, il suo registro interpretativo passa da un ruolo all’altro con una semplicità apparente e difficile da rintracciare in altri attori della sua generazione.
Marika De Chiara ha vinto il premio nazionale SPECIALE PROARTE 2017 promosso dall'ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) con la motivazione “considerando di alto livello il suo operato in campo artistico. Giovane e brava attrice, con consolidata esperienza di palcoscenico con più di una significativa esperienza di cinema e fiction televisive e per il suo impegno in AIG in tre edizioni del premio "Il Viaggiautore".
Marika, nel 2011 lei ha interpretato un video diventato virale che ha avuto decine di migliaia di click sul web, OSTIA BEACH. Ha influenzato la sua vita professionale?
“Sfatiamo un mito: assolutamente no. Visibilità sì, ma opportunità lavorative non proprio. La viraliTà aiuta, ma non è sempre vero che crei lavoro. Almeno nel campo attoriale non c’è una corrispondenza tra click ricevuti sul web e quello che poi si fa. Sì, le persone mi riconoscevano per strada, ma questo non vuol dire acchiappare necessariamente valide occasioni lavorative”.
Come è nata la sua passione per il teatro?
“È stato un amore molto precoce. A otto anni il primo corso di formazione con Luciano Melchionna che poi, fatto molto singolare, anni dopo mi sceglierà in un provino per lo spettacolo “Dignità autonoma di prostituzione”nella quale tutt’ora lavoro e che sarà in scena prossimante al Teatro Bellini di Napoli. Il regista si era completamente dimenticato il mio viso anche perché dopo tanti anni ci siamo ovviamente persi di vista ma il cerchio si è chiuso. Ma il mio primo lavoro importante risale al 2007 con Luca Barbareschi ne Il Gattopardo dove interpretavo sua figlia ovvero una principessa. quest’anno infatti festeggio i miei primi 10 anni di carriera”.
Prostituta, coatta, “tossica”, il suo registro interpretativo predilige gli estremi, è un caso?
“Assolutamente no. Sono di origine napoletana, amo i personaggi passionali anche quelli che hanno risvolti negativi dal punto di vista della vicenda esistenziale. Qualcuno ha detto che le mie interpretazioni sono simili a un quadro di Caravaggio, hanno forti accentuazioni cromatiche. Forse è un’esagerazione, che mi gratifica certo, ma corrisponde alla realtà”.
Si può vivere di teatro in Italia?
“A momenti, non in maniera continuativa. Personalmente cerco di non stare mai ferma, studio e leggo in continuazione soprattutto i classici e poi ho la fortuna di insegnare teatro (ai bambini e agli adulti ) e di poter trasmettere ciò che amo da sempre e questo accade sia con i bambini che con gli adolescenti che con un gruppo di adulti che seguo da più di sette anni. Insomma non sto certo lì ad aspettare il telefono che squilli per avere una parte”.
La tv e il cinema non la incuriosiscono?
“Sono tre medium profondamente differenti, quello che va bene per l’uno non va bene per l’altro. Comunque per la tv ho interpretato la seconda stagione di una serie, con la regia di Valerio Bergesio, dal titolo “140 secondi” di cui sono la protagonista e che è in uscita e per il cinema un cortometraggio che è stato ospitato al Festival di Venezia “La legge del numero uno” con la regia di Alessandro D’Alatri. In questa circostanza ho recitato nel carcere di Rebibbia. Anche lì un’esperienza estrema, ho visto con i miei occhi una realtà così diversa dal quotidiano della quale spesso ce ne dimentichiamo l’esistenza e che invece è molto reale e concreta”.
Lei predilige recitare in dialetto, come nasce questa sua particolarità?
“Non direi una predilezione vera e propria ma sicuramente ne subisco il fascino. Trovo che gli idiomi dialettali siano pregni di verità e hanno una grande forza nel dichiarare i messaggi in maniera più diretta. Sono più comunicativi insomma. Quando mi capita di affrontare un testo, spesso per cercare di capirne il sottotesto, traduco la frase, o il periodo o che sia in napoletano e spesso il messaggio risulta più immediato e incisivo. Nella vita reale, nel nostro quotidiano il vernacolo, in qualsiasi parte del nostro paese è inevitabilmente presente anche solo nelle cadenze o nelle inflessioni… e quindi è lingua viva più che mai”.