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Roma
Rifiuti, dilemma termovalorizzatori: "Beneamata ceppa” che spacca gli esperti

di Daniele Piccinin

Dall'incendio del Tmb di via Salaria a Roma le polemiche sulla gestione dei rifiuti in Italia continuano a tenere alta l'attenzione anche da parte del governo. Se il vicepremier Salvini ha più volte auspicato la costruzione di termovalorizzatori in ogni provincia il collega di governo, Luigi Di Maio, ha cassato la proposta sostenendo che quello dei termovalorizzatori non c'entra "una beneamata ceppa col contratto di governo".

 

Ascoltando gli esperti viene però da chiedersi se l'utilità di questi impianti, diffusi in tutta Europa sia davvero fondamentale per il completamento del ciclo rifiuti. Per Marco Sperandio, presidente di Rea Dalmine, società del gruppo Greenholding, che gestisce il termovalorizzatore di Dalmine in Lombardia, considerato oggi fra gli impianti di utilizzazione termica dei rifiuti in Europa che garantiscono le emissioni in ambiente più basse, grazie all’utilizzo delle tecnologie più avanzate, "l’Italia sconta, in alcune Regioni, la mancanza di un’efficiente programmazione impiantistica a medio-lungo termine. Se da un lato le Regioni del nord Italia si sono dotate di impianti che garantiscono la chiusura del ciclo di trattamento dei rifiuti urbani, nel centro sud vi è una mancanza di impianti finali per le frazioni non recuperabili".

Gli impianti di termovalorizzazione, spiega Sperandio, "sono necessari per chiudere il ciclo di quella parte dei rifiuti non differenziabili che andrebbero altrimenti smaltiti in discarica senza poter quindi ottenere alcun recupero energetico. Va considerato il fatto che esiste un limite fisiologico alle percentuali di raccolta differenziata e vi sono comunque materiali non riciclabili senza contare che la lavorazione dei materiali raccolti separatamente, carta e plastica soprattutto, genera a sua volta un’alta percentuale di materiali di scarto, circa il 35%, che deve essere smaltita prevendo almeno un recupero energetico negli impianti di termovalorizzazione". Quanto ai dubbi sulla loro sicurezza ed efficienza, "l'impianto di Dalmine tratta circa 150mila tonnellate all’anno cede alla rete elettrica, al netto degli autoconsumi necessari per il funzionamento, circa 100mila MWh di energia elettrica, quantità di energia pari al consumo di circa 110mila persone. L’equivalente dell’energia prodotto è di circa 285mila barili di petrolio risparmiati", sottolinea il presidente di Rea Dalmine.

Di parere opposto è Francesco Ferrante, ecologista e fondatore di Green Italia, vicepresidente di Kyoto Club, dal 2006 al 2013 è stato senatore con il Partito democratico, che punta il dito contro l'attuale governo. "Nella manovra di bilancio no c’è nulla per l’ambiente. Che la Lega non fosse appassionata del tema lo sapevamo, ma i 5 stelle sono stati peggio del previsto: il condono edilizio a Ischia, l’eccessiva prudenza sulle fonti rinnovabili, non ci siamo proprio”. Quanto ai termovalorizzatori, spiega Ferrante, "sono demonizzati perché la gente non si fida. Detto ciò io non credo che per i rifiuti urbani sia utile ricorrere alla costruzione di nuovi inceneritori . Quelli che ci sono bastano e avanzeranno mano a mano che aumenterà il recupero di materia. Piuttosto il recupero energetico può essere la soluzione migliore per alcuni tipi di rifiuti industriali per cui non ci sono altre soluzioni. E per gli urbani quelli che mancano sono i digestori anaerobici per l’umido. Insomma la risposta è fare solo gli impianti che servono per l’economia circolare dando tutte le assicurazioni sull’impatto ambientale nei territori dove dovranno essere realizzati".

Guai però a citare lo spot "zero rifiuti". "E' un bello slogan che piace anche a me e che può essere utile per promuovere l’uso efficiente delle risorse e l’unica forma di economia che avrà un futuro, quella circolare appunto. Ma dobbiamo essere chiari, insisto:per arrivare a rifiuti zero servono 1000 impianti di recupero", conclude il vice presidente di Kioto Club.

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