Roma
Rifiuti, processo Cerroni, dopo 42 mesi il pm Galanti vuole nuove prove
Il pm Alberto Galanti, dopo 3 anni e mezzo di dibattimento, chiede integrazione di nuove prove
di Valentina Renzopaoli
Processo Cerroni in dirittura d'arrivo, forse. Dopo quasi tre anni e mezzo l'”immediato” sulla gestione dei rifiuti di Roma e provincia, sembra essere quasi arrivato al capolinea.
L'istruttoria dibattimentale si è conclusa con l'esame dell'ex sindaco Francesco Rurtelli, l'ultimo dei testimoni chiamati dalla difesa del patron di Malagrotta accusato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di rifiuti.
A questo punto rimangono le arringhe con le motivazioni delle parti ed entro un paio di mesi al massimo si giungerà a sentenza. A meno che, il Tribunale presieduto da Giuseppe Mezzofiore, non accolga la richieste del pm Alberto Galanti che, nell'ultima udienza, ha sollecitato i poteri della Corte chiedendo di integrare l'istruttoria dibattimentale con nuove prove.
In questo caso, il procedimento si riaprirebbe, le difese potrebbero richiedere l'esame di testimoni a cui avevano rinunciato e l'orizzonte temporale sarebbe di nuovo infinito.
Il prossimo 14 novembre si saprà il destino, se si potrà tirare la linea o si dovranno riaffilare le armi.
Armi rimesse già nel fodero, visto che i legali dei sette imputati, sembrano essere più che soddisfatti del dibattimento. L'ultimo punto incassato, quello dell'ex sindaco Francesco Rutelli, primo cittadino di Roma dal 1993 al 2001.
“Non abbiamo mai ricevuto da Cerroni nessun tipo di pressioni, nessun tipo di ostacoli, anche perché era chiaro che c'era un privato che gestiva da decenni gli impianti e c'era una regia pubblica che aveva l'interesse di ridefinire la strategia dal lato dell'interesse generale. Mai nessun tipo di interferenza nel modo più assoluto”, ha detto Rutelli dal banco dei testimoni.
Rutelli ha spiegato: “Durante il mio mandato la situazione dei rifiuti era sotto controllo. A Roma la politica dei rifiuti era stata una politica senza problemi, perché all'inizio degli anni '70 è iniziata l'attività di discarica di Malagrotta. Era considerata una specie di gigantesco buco nel quale conferire tutto ciò che veniva raccolto, una sorta di scarico di responsabilità delle amministrazioni pubbliche”.
Poi ha continuato: “Quello che noi cercammo di fare fu di restituire una regia pubblica alla regia dei rifiuti. Approvammo un documento programmatico che riguardava la possibilità di fare investimenti in base all risorse rese disponibili dal parte di Governo e Regione. Il monopolio era stato un monopolio di fatto perché nel momento in cui le istituzioni avevano stabilito un accordo per una discarica di dimensione di quasi 200 ettari, è evidente che in termini strategici per la città il problema rifiuti quasi non si poneva. Così abbiamo dato il via ad una serie di impianti pubblici che permettessero di uscire da una dinamica rassicurante a non di prospettiva eterna”.
“Cerroni osteggiò questa linea programmatica?” hanno chiesto i due legali, l'avvocato Alessandro Diddi e Bruno Assumma. Rutelli ha risposto: “Cerroni come avrebbe potuto osteggiarla... alla domanda rispondo no, la regia era pubblica ma c'era collaborazione con i soggetti privati e anche con il concessionario e monopolista”.
Poi la palla è passata la pm Alberto Galanti: “Durante i suo mandati non ci sono state segnalazioni, esposti o lamentale dei comitati di quartiere intorno all'area di Malagrotta?”, domanda il pm.
“Certo che ci sono state. Senta, se lei guarda le foto aeree di quando il buco di Malagrotta è stato realizzato, lì intorno c'erano le pecore, i quartieri abusivi costruiti lì intorno sono nati successivamente e anche alcuni programma di sviluppo urbanistico sono stati costruiti dopo. Quelle case sono arrivate dopo”.
Durante l'esame rispunta anche il nome di Mario Di Carlo. “Mario Di Carlo, è stato un valentissimo collaboratore, una persona integerrima, morto troppo giovane e con qualche sofferenza di troppo. Figlio di uno spazzino, è stato l'amministratore dell'Ama ed era molto orgoglioso di questo ruolo, dirigente di Legambiente, è stato degli ambientalisti provetti”. E sulle dichiarazioni rilasciata a Report sul suo rapporto con Cerroni: “Sono certo che all'origine della malattia di Di Carlo c'è stata la sofferenza di essere entrato con superficialità a fare quel tipo di dichiarazioni, tra l'altro carpite a sua insaputa. Sì credo che questo sia stato l'origine di una sofferenza molto profonda che ha portato alla malattia”.