Roma
Rivolta nel carcere di Rebibbia, follia detenuti: in 55 a rischio processo
Conclusa l'indagine iniziata il 9 marzo scorso: i reati ipotizzati sono devastazione, saccheggio, incendio, danneggiamento, rapina e il sequestro di persona
Per la rivolta scoppiata lo scorso 9 marzo nel carcere di Rebibbia, 55 detenuti sono a rischio processo. La Procura di Roma sta in queste ore notificando l'avviso di conclusione dell'indagine aperta a suo tempo ipotizzando i reati di devastazione, saccheggio, incendio e danneggiamento. Contestati anche la rapina e il sequestro di persona.
L'indagine è condotta dai pm Eugenio Albamonte e Francesco Cascini, coordinati dal procuratore Michele Prestipino. Gli indagati sono stati individuati grazie all’esame delle immagini di videosorveglianza e alle testimonianza del personale della polizia penitenziaria, vittima di violenze. La rivolta a Rebibbia, in contemporanea a quella di Regina Coeli, e poi estesa in altri penitenziari italiani, era nata col diffondersi dell’allarme tra i detenuti per l’impossibilità di rispettare le norme anti contagio nelle celle sovraffollate. A Rebibbia, in particolare, era stato dato fuoco a materassi e coperte. Alla fine dei disordini, durati alcuni giorni, ben due piani della struttura carceraria erano stati dichiarati inagibili.
“Che debbano essere penalmente censurate le gravi rivolte che si sono verificate nel marzo scorso è un dato di fatto e speriamo che non manchi in nessun caso la risposta dello Stato anche alle infamanti accuse di maltrattamento e addirittura di tortura rivolte nei confronti dell’operato della polizia penitenziaria intervenuta per ripristinare l’ordine, la sicurezza e la legalità nelle carceri”. Così in una nota l'Unione Sindacati di Polizia penitenziaria.
“Mentre rivolgiamo il nostro applauso al N.I.C. della Polizia Penitenziaria che ha condotto l’attività d'indagine nel circondariale romano - prosegue l'USPP - non possiamo non chiedere che siano accelerate le indagini per individuare i responsabili delle rivolte che si verificarono anche a seguito di improvvide iniziative Dipartimentali con l’avallo del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che se non ha responsabilità penali sui gravi fatti accaduti (evasioni, morti, feriti e danni per 35 milioni di euro) ha sicuramente la responsabilità politica per la gestione e lo stato in cui versano le carceri”.