Roma

Rivoluzione urbana M5S, il bluff: niente opere pubbliche e favori ai privati

A via Laurentina apre il Maximo Shopping Center, ma le opere pubbliche dovute non ci sono. L'opinione di Andrea Catarci

di Andrea Catarci *

Siamo alle solite. Nella Roma del 2020 le trasformazioni urbane continuano ad attuarsi con il medesimo esito: garanzia degli interessi privati, noncuranza per quelli della collettività.

 

A via Laurentina apre il Maximo Shopping Center

A fine ottobre, nel post-covid caratterizzato da crisi economico-sociale galoppante e dalle tante incertezze sul futuro per i rischi di nuovi lockdown, apre i battenti un nuovo centro commerciale, il Maximo Shopping Center di via Laurentina, a circa un chilometro dal Grande Raccordo Anulare e nelle immediate vicinanze dei quartieri EUR e Fonte Ostiense. Si tratta di un progetto legato a un Piano di Recupero Urbano del 2006 e ad una Convenzione urbanistica del 2008, con numeri ragguardevoli: 170 negozi, 30 ristoranti, un ipermercato e un cinema multisala su complessivi 60.000 metri quadri di superficie.

Le opere pubbliche dovute non ci sono

Se le porzioni private dell’accordo sono in conclusione e pronte ad accogliere il pubblico, lo stesso non si può dire per le opere pubbliche connesse all’intervento, quelle che la normativa definisce “a scomputo”.

Il ponte pedonale che doveva arrivare a via Celine è rimasto solo nel piano originario e non è entrato in Convenzione: essendo sparito dai propositi fin dal 2008, non si farà.

I locali per Roma Capitale previsti a spese degli imprenditori, che presumibilmente avrebbero dovuto ospitare la sede del Municipio Roma IX, non sono stati realizzati: i lavori sono fermi e sembra si stia procedendo all’elaborazione di un nuovo progetto esecutivo, con tempi che sono dunque ancora incerti.

La piazza che avrebbe dovuto ospitare eventi culturali e ricreativi su 15.000 metri quadri e che nelle dichiarazioni avrebbe dovuto diventare “il fulcro della vita urbana e il tessuto di connessione con il quartiere”, è stata realizzata solo in parte ed è in attesa di collaudo: comunque, anche con il probabile esito positivo, essa non avrà le dimensioni stabilite nella Convenzione.

Delle alberature impiantate, infine, alcune non sono sopravvissute ai primi mesi di vita: poiché ne era prevista la cura e la manutenzione da parte della proprietà dovranno essere sostituite, cosa ancora non avvenuta.

Il Consiglio di quartiere Laurentino - Fonte Ostiense ha denunciato il tutto a più riprese, varie forze d’opposizione in Assemblea capitolina hanno sollevato la questione con interrogazioni, per ora però niente di niente. Nessuna delle questioni citate sembra sufficientemente rilevante, tanto che l’apertura è programmata e a la data è talmente ravvicinata da rendere difficile che emergano novità rilevanti rispetto al presente. Allora, aldilà della valutazione su quanto fosse equo lo scambio originario tra pubblico e privato – che è un altro discorso che sarebbe interessante approfondire -, viene da girare la prospettiva e da chiedere alla giunta Raggi: cosa ha ottenuto a oggi e cosa otterrà la città nel prossimo futuro in termini di interventi destinati a mitigare l’impatto della nuova realtà commerciale sul quadrante interessato?

E’ necessario tutelare la collettività: prima vengano fatte le opere pubbliche dovute e poi si autorizzino le aperture delle attività private

In questa sede si è scelto di tralasciare le considerazioni generali su quanto sarebbe necessario porre un freno alla proliferazione di centri commerciali in un contesto urbano che ne ha già parecchi - nonché su quanto sarebbe utile rendere sufficientemente misti i progetti esistenti che non lo sono, prevedendo accanto al commercio anche spazi dedicati alla cultura, a funzioni extra mercantili con impatto sociale, a piazze, strade e luoghi pubblici -, per concentrare l’attenzione sulla frequente elusione degli impegni privati riportati nelle convenzioni urbanistiche. A tal proposito si ricordi il caso recente ed eclatante del Piano di Riassetto di Piazza dei Navigatori, dove le opere pubbliche dovute non si sono viste e malgrado ciò la giunta Raggi ha proceduto a rinnovare una convenzione scaduta, per ottenere in cambio un ristoro economico risibile se rapportato al valore delle stesse opere. Si è trattato di una lesione degli interessi collettivi, cosa che sembra ripetersi. Anche in questo caso non può bastare il ritornello sull’importanza dei prestigiosi marchi ospitati nel centro e sulle ricadute positive in termini di nuova occupazione, perché si sta nel campo degli investimenti economici e non in quello della filantropia. Gli obblighi assunti devono essere rispettati e, visti i tanti casi in cui non succede, diventa fondamentale, urgente e di buonsenso subordinare alla realizzazione delle opere a scomputo la conclusione degli iter autorizzativi. In poche parole, prima si dà alla collettività quanto si è concordato e solo dopo si apre l’attività privata. Senza deroghe.

La Sindaca Raggi e il M5s avevano promesso di cambiare tutto e invece sono riusciti nella difficile impresa di peggiorare un quadro già critico, sul piano urbanistico e sul resto: invertire la china e in fretta, con provvedimenti concreti, è una delle prime sfide che lo schieramento democratico deve impegnarsi a tradurre in realtà nel governo di Roma.

* Andrea Catarci, coordinatore del Comitato scientifico di Liberare Roma