Roberto Giachetti, l'uomo-sacrificio del Pd romano a pezzi - Affaritaliani.it

Roma

Roberto Giachetti, l'uomo-sacrificio del Pd romano a pezzi

Roberto Giachetti ci ha messo la faccia e, solo per questo, dovrebbe essere considerato un piccolo “eroe”, nel momento più basso del centrosinistra a Roma, almeno da un quarto di secolo a questa parte. Ci ha creduto fino in fondo, con la forza di chi sa rimanere sempre e comunque se stesso. “Ci sono io e la mia storia” ha ripetuto per settimane, con l'orgoglio di chi crede profondamente che la vera politica sia un valore, che essere un politico non debba essere considerata una vergogna ma un onore e una enorme responsabilità. Sei mesi fa, con il maxi processo di Mafia Capitale al debutto, nessuno avrebbe mai scommesso un euro che il Pd sarebbe arrivato al ballottaggio; gli stessi militanti erano convinti che stavolta non ce ne sarebbe stata per nessuno. Con un partito romano stroncato dagli scandali, un presidente di municipio estromesso e commissariato per mafia, una divisione interna senza precedenti, e il rancore dei cittadini che ha toccato livelli di guardia, Giachetti ha fatto il miracolo di portare uno schieramento di centrosinistra fino all'ultima sfida.
Con il suo sacrificio, il Pd ha speso l'unica carta possibile, non c'era nessun altro che avrebbe potuto giocarsela a testa alta come lui. Voluto fortemente da Matteo Renzi, Giachetti ha rischiato e in parte, così è stato, di pagare un voto di bocciatura nei confronti del premier. Erano in molti a voler trasformare le elezioni di Roma in un referendum contro il presidente del Consiglio, in realtà è più corretto leggere la debacle finale come una stroncatura decisa e senza appello ad una classe dirigente che ha fallito la sua missione e alla quale, in parecchi non hanno perdonato la “cacciata a tradimento” di Ignazio Marino. Far vincere la Raggi aveva per tanti elettori un solo obiettivo: far piazza pulita del Pd e dei suoi esponenti.