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Roma
Roma, allarme nei mercati rionali. L'invasione dei candidati a sindaco

Giachetti, Raggi, Marchini e Meloni scoprono "la spesa". E l’allarme dilaga. Il livello di allerta sale progressivamente. L’inquieto passaparola si diffonde in maniera capillare fra i clienti dei mercati romani. Da Val Melaina a Montagnola, da Testaccio a Campo dei Fiori, da Trionfale a Monti, la parola d’ordine è una sola: “Attenti al candidato”.

Ebbene sì, durante le elezioni, i pittoreschi mercati romani diventano territorio di caccia dei candidati che, graditi come un brufolo sul naso prima di una serata di gala, si spargono simili a cavallette improvvisando comizi presso le varie bancarelle, fra una treccia d’aglio e un mazzetto di prezzemolo, fra un paio di collant e una pancera, fra una mazzancolla e un trancio di pesce spada, destando più terrore di un commando di foreign fighters.
Utilizzati come involontarie spalle comiche per allestire goffi siparietti con il candidato sindaco che, a favore di telecamera, compra una scatoletta di tonno pescato ai tempi di Nerone e un cespo di lattuga vizza, i gestori delle bancarelle consultano spasmodicamente ogni mattina le pagine facebook dei vari aspiranti eletti sperando di essere risparmiati dalla piaga almeno quel giorno. Invano. La sora Cesira del banco del pesce, che l’ultima volta alle urne ha votato per Pietro Nenni, si ritrova da un momento all’altro sotto i riflettori come emula di Paolo Mieli, costretta dal candidato sindaco o consigliere a discettare di qualsiasi argomento dello scibile politico. Non più fortunato il Sor Mario del banco delle carni, obbligato a stare attento a dove cala la mannaia per non rischiare di affettare per sbaglio qualche ditino a un candidato molesto che, sotto i flash, s’insinua financo dietro il bancone per strappare una perla di saggezza al malcapitato.
Ma sono i clienti dei mercati quelli più vessati dallo “stalking elettorale”, spesso obbligati, mentre fanno compere, a interagire con chi non voterebbero mai. La vecchina elettrice di Giachetti fa tappa dal fioraio solo per perdere dieci diottrie per occhio abbagliata a tradimento dalla dentatura di Marchini; la massaia che stravede per Marchini fa per tastare i meloni e si ritrova suo malgrado fra le mani la Meloni stessa; il buon padre di famiglia che avversa i grillini si vede spuntare fra pomodori e asparagi la testa della Raggi che, prima di mandarlo in sala rianimazione per le esalazioni da lacca per capelli, lo accusa di aver contribuito per anni e anni allo sfascio generale.
Il sabato, giorno d’elezione per far tappa al mercato, viene ormai considerato più nefasto del martedì nero di Wall Street, tanto che si avvistano sempre più romani fuggire a gambe levate in direzione opposta al capannello dell’aspirante sindaco/consigliere e della claque di riferimento, per raggiungere in massa il primo supermarket, discount, spaccio, negoziante di qualunque etnia, origine e provenienza che venda generi di prima necessità. Sotto elezioni, il supermercato, in particolare, è considerato alla stregua di una “spa” di lusso per i clienti assordati dalle chiacchiere importune dei candidati in giro per mercati rionali, tanto da arrivare a considerare annunci quali "A Monica, te devi da sbriga’ ad apri’ a cassa otto!", o "No, signo’, si nun c’ha a tessera nun je posso riconosce’ i punti", al pari di una sinfonia di Debussy.
I mercati, intanto, come un tempo le praterie del Far West, continuano a essere oggetto delle scorribande degli aspiranti eletti e dei loro sodali. Impigliati nelle extension della Meloni, narcotizzati dall’aplomb di Giachetti, in attacco iperglicemico per le svenevolezze della Raggi, in preda alla labirintite per i cambi di passo di Marchini, i romani pregano che arrivi presto il 19 giugno così da riavere i mercati tutti per loro, confidando in una realtà universalmente nota: dopo avervi fatto il bello e il cattivo tempo per mesi e mesi fra rosmarino, porchetta e cicoria, nessuno dei candidati – complice la colf filippina – si farà mai più rivedere fra le bancarelle per almeno cinque anni.

 

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