Roma

Roma, Ama da paura: 66 mln bruciati con i derivati. Debiti: colpa del Comune

Inchiesta di Valori.it: i derivati con BNL-Bnp Paribas, Popolare di Sondrio, Unicredit e Monte Paschi

La public utility romana dello smaltimento rifiuti Ama SpA avrebbe già perso circa 66 milioni di euro sui derivati sottoscritti con le banche.

Lo scrive Valori.it, la testata giornalistica della Fondazione Finanza Etica, promossa da Banca Etica e Etica Sgr, che cita fonti vicine alla vicenda. I derivati contestati sono contratti di interest rate swap (IRS) stipulati tra la società controllata da Roma Capitale e le banche BNL-Bnp Paribas, Popolare di Sondrio, Unicredit e Monte dei Paschi.

La sottoscrizione dei derivati sarebbe legata agli accordi di finanziamento siglati nel dicembre 2009 tra Ama e un pool di otto banche. Nell'ottobre del 2017, scrive ancora Valori, il presidente di Ama Lorenzo Bagnacani, assistito dallo studio legale Fabiani di Como, ha inviato un reclamo a Bnl chiedendo l'annullamento del contratto e il rimborso dei costi sostenuti. Bagnacani ha incaricato lo studio di procedere nello stesso modo con gli altri tre istituti bancari.

Scrive ancora l'autore dell'inchiesta Matteo Cavallito: “Ma nel portafoglio di AMA ci sono anche crediti rilevanti. Nel 2016, evidenziano gli ultimi dati del bilancio, la società romana vantava un saldo positivo di 234 milioni (900 milioni di crediti Vs 666 di debito) verso Roma Capitale. A questi si aggiungono i crediti nei confronti della clientela che, al netto delle svalutazioni, ammontano a 135,7 milioni.

Le informazioni disponibili non permettono al momento di trarre conclusioni. Di certo si sa che negli anni il Collegio sindacale ha evidenziato più volte nella sua relazione quanto la riscossione dei crediti verso l’amministrazione capitolina sia determinante per garantire ad AMA la necessaria liquidità. Il loro mancato recupero, al contrario, costringerebbe la controllata a indebitarsi con le banche. L’analisi dei crediti verso Roma Capitale è stata affidata alla società di revisione Ernst & Young”.