Roma: l'asilo dei pazzi: 3 mln di lavori non c'è un mattone. Comune a giudizio
Mala amministrazione: il caso della scuola materna e del nido di Castel di Leva mai realizzati
La prima “carta ufficiale” è dell'ottobre 2004. Con una procedura aperta il Comune di Roma voleva realizzare un nido e una materna con 3 sezioni i via di Castel di Leva, nel Municipio Roma XII. Nove anni dopo la scuola non c'è e al suo posto c'è una causa per il Comune di Roma che ad aprile 2017 dovrà comparire in giudizio e, se condannato, dovrà pagare oltre mezzo milione di euro per un'opera mai realizzata e per i danni che ha prodotto all'impresa che quella gara l'aveva vinta regolarmente.
E' la classica storia infinita che vede la pubblica amministrazione implodere per l'assoluta incapacità di portare a termine un'opera pubblica per la quale erano stati stanziati quasi 3 milioni di euro ai quali ora andranno aggiunti i danni reclamati dall'impresa che i lavori li ha iniziati ma non li ha mai potuti finire, non tanto per un cavillo, quanto perché tutto l'iter si è bloccato per l'assenza alla Conferenza dei servizi di Acea Ato2 e i tecnici comunali. Una vergogna tutta romana che grida vendetta solo perché nessun responsabile pagherà mai per un asilo e una materna mai costruiti.
Come anticipato, tuto nasce nel 2004 quando il Comune, pressato dalle liste d'attesa per nidi e materne, decide di realizzarne una nella zona di Castel di Leva, estrema periferia sud. Per arrivare però alla “determinazione del Dipartimento Lavori Pubblici occorrono tre lunghi anni in cui il Comune non si capisce bene cosa fa. Alla fine, e siamo nel 2009, la gara d'appalto viene aggiudicata all'impresa Giovani Recchia che, nel 2010 viene convocata per la “consegna parziale dei lavori d'urgenza” del plesso. “Parziale e d'urgenza” appartengono a quel linguaggio della pubblica amministrazione che con una mano fa e con l'altra disfa. Infatti si scopre che nel terreno c'è un fosso che necessita di essere intubato mentre arriva anche la richiesta della Soprintendenza Archeologica di Roma che chiede “sondaggi preventivi”. Insomma, il Comune non sa che c'è un fosse, non sospetta neanche che nell'area di esondazione naturale potrebbero esserci reperti ma incarica la ditta di procedere e stipula un contratto con il quale indica in 570 giorni il tempo necessario a realizzare l'opera. E già agli occhi di una persona dotata di equilibrio e di un minimo di saggezza, appare come una follia.
Parte la bonifica dell'acquitrino e partono gli scavi alla ricerca dei cocci sino a quando il Comune non si accorge che c'è un altro problema e che cioè c'è anche una fogna non “correttamente censita in fase di progettazione che corre accanto ad un altro canale. Quasi la zona di Castel di Leva fosse Venezia.
Si riparte con le chiacchiere e con la convocazione di tutti i soggetti interessati: Soprintendenza per i cocci, Acea Ato2 per la fogna e i “comunali per i canali. Tutti risolto? Neanche per sogno, perché i tecnici del Comune non si presentano e quelli dell'acea Ato2 neanche telefonano. E siamo all'ottobre 2010 con le procedure costruttive che nel frattempo sono state aggiornate con criteri antisismici ma il cantiere non parte perché nel frattempo si è scoperto che le somme accantonate dal Comune sono bloccate per via del Patto di stabilità. Dunque, progetto sbagliato, enti dei servizi che non si presentano e neanche i soldi. Ovvio che il denaro l'impresa lo ha speso per sondaggi archeologici e lavori vari per un importo pari a 48 mila euro che non vengono riconosciuti dal Comune.
Si arriva così al 2016 con la società che ha vinto l'appalto impossibile che cita in giudizio il Comune e ottiene l'udienza civile un anno dopo, precisamente ad aprile 2017 chiedendo un risarcimento danni che comprende i soldi anticipati per i lavori più i danni per un totale che supera il mezzo milione di euro. Scrive nella citazione il legale dell'impresa: “Roma Capitale, pur riconoscendo, in varie occasioni, la propria responsabilità in riferimento a dette problematiche, non ha mai risolto siffatte interferenze né ha mai adeguato il progetto alle nuove norme tecniche. Sicché, è palese l’inadempimento dell’Amministrazione che mediante il proprio comportamento inerte ha di fatto reso impossibile la prosecuzione dei lavori”.
Chi pagherà per questa follia?