Roma, mucca pazza, muore un 62enne a Tor Vergata. Codici: “Rischi ignorati”
Il romano di Centocelle era stato ricoverato con sintomi simili a quelli del morbo di encefalopatia spongiforme bovina
Un ingegnere elettronico di 62 anni è morto mercoledì al Policlinico di Tor Vergata per un caso sospetto di morbo della «mucca pazza».
Il paziente, che viveva nel quartiere di Centocelle, era stato ricoverato lo scorso 5 gennaio con sintomi simili a quelli del morbo di encefalopatia spongiforme bovina: vuoti di memoria e sdoppiamento della vista. Dopo essere stato trasferito nel reparto di Neurologia, le sue condizioni sono progressivamente peggiorate.
"Da anni i rischi legati alla malattia della 'mucca pazza' sembravano ormai tramontati, dal momento che la vicenda non conquistava più le luci della ribalta mediatica. Al contrario di quanto si pensi però, questo fenomeno è tutt'altro che un lontano ricordo. Come la meningite, solo quando i media se ne appassionano diventano delle emergenze, anche se solo mediatiche, eppure la mucca pazza è ancora li viva in mezzo a noi, più di quanto pensiamo”, denuncia l'associazione Codici.
“Da anni Codici continua ad affermare quanto in realtà questa minaccia sia rimasta viva e a denunciare la mancata campagna informativa e i dubbi criteri di classificazione dei casi. E' difficile enumerare gli effettivi casi di mucca pazza, dal momento che vi sono forti dubbi in merito alla cura con cui vengono segnalate le forme probabili o certe della malattia di Creutzfeld-Jacob. Nel 2014 presentammo due esposti, uno alla procura di Caltanissetta e uno a quella di Reggio Emilia, per vederci chiaro dopo dei sospetti casi di mucca pazza in quel periodo. Più volte siamo tornati sul caso, rilanciando l’allarme e precisando che nel registro tenuto dall’Istituto Superiore di Sanità infatti sono inseriti solo i casi riconosciuti con “accuratezza diagnostica superiore al 95%”. E gli altri? Tutti gli i casi che non raggiungono il 95%?». «In merito a questo aspetto - conclude il Codici - riteniamo necessaria un maggiore senso dello Stato da parte delle autorità, stabilendo dei criteri più precisi per la diagnosi in modo tale da contenere subito un’eventuale nuova diffusione della malattia».