Roma
Roma: poteri e doveri del nuovo prefetto. Le 5 domande per Gerarda Pantalone
Nomadi a Casal Bruciato e Spin Time: Andrea Catarci di Movimento Civico pone 5 quesiti al nuovo prefetto di Roma, Gerarda Pantalone
di Andrea Catarci *
Da qualche settimana a Roma c’è una nuova Prefetta, Gerarda Pantalone, che come figura apicale è la prima responsabile della sicurezza e del coordinamento delle forze di polizia. Vari commentatori l’hanno associata ad ambienti vicini alla Lega, poiché nel recente passato ha svolto il ruolo di capo dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno.
Vero o no, fatto sta che è arrivata proprio mentre il governo gialloverde ampliava i poteri delle prefetture, mettendo nero su bianco la possibilità di sostituire i sindaci nei contesti definibili “zone rosse”, ovvero nei quartieri contrassegnati da un alto livello di rischio di ogni tipologia. Ha un compito delicato, viste le precarie condizioni di salute della Capitale sotto diversi punti di vista – sociale, economico, culturale e con riferimento alla convivenza civile – e il potere consistente che è chiamata a esercitare, maggiore di quello di tutte le persone che l’hanno preceduta nel medesimo incarico. E’ chiamata a dimostrare la lealtà costituzionale, l’equilibrio e la capacità di mediazione sociale che si addicono a una carica istituzionale, che non può limitarsi a spingere per realizzare i desiderata politici del Ministro dell’Interno.
La Prefetta Pantalone non ha cominciato bene. In pochi giorni si sono verificati due fatti che hanno visto un atteggiamento al limite dell’incomprensibile delle istituzioni volte ad assicurare la pubblica sicurezza. Si tratta delle modalità con cui si è intervenuti nell’ultimo episodio di tensione sociale avvenuto a seguito dell’assegnazione di una casa a una famiglia di etnia rom - stavolta nel quartiere di Casalbruciato – e dell’inerzia di fronte al distacco della luce a un immobile occupato nel quartiere di San Giovanni, lo Spin Time. Su di essi, limitandosi agli aspetti legati alla basilare convivenza civile, viene da porre cinque domande all’attuale inquilina di Palazzo Valentini.
1) Si può autorizzare un presidio contro una famiglia sotto casa della stessa?
Il gazebo e gli striscioni sono stati diretti a intimidire in maniera continuata chi doveva prendere possesso dell’abitazione sulla base di una legittima assegnazione effettuata da Roma Capitale, impedendo persino di scendere a fare la spesa per tre lunghi giorni. Può essere stato il condominio a fare la richiesta, i vigili possono non essersi resi conto subito della reale situazione, possono essersi verificate altre piccole ambiguità: ma una volta chiari i termini della questione - cioè una volta appurato che l’obiettivo dei manifestanti di estrema destra erano persone che da quel cortile dovevano necessariamente passare per entrare e uscire - si doveva intervenire per porre fine al vergognoso teatrino squadristico. Invece si sono messi gli agenti a guardia di esso, come se esistesse qualche normativa repubblicana che permetta di stare sotto un portone d’ingresso ad assediare chi vi abita.
2) Si possono permettere aggressioni fisiche e verbali ai danni di una madre con una bambina in braccio e altri figli al seguito, come documentate da video e immagini inequivocabili?
C’è persino una minaccia di stupro, gridata mentre si spinge sul cordone di polizia per alzare la tensione, senza che si sia proceduto nemmeno a un fermo e a una intimazione a lasciare liberi gli spazi. Ci sono esponenti di diverse formazioni di destra ed estrema destra che litigano tra loro per chi deve appendere messaggi di istigazione all’odio sociale, rivendicando la “gestione” sciacallesca della piazza. Davvero pare incredibile, eppure a stare a quei fotogrammi dovremmo concludere che a Roma i manipoli di ragazzotti che si autodefiniscono “fascisti del terzo millennio” possono impunemente sfogare nella violenza le proprie frustrazioni e aizzare gli animi degli scontenti puntando sul razzismo, nel disinteresse generale delle autorità. D’altronde la stessa Sindaca, in visita alla famiglia, non ha preteso che si ristabilisse la vivibilità nel condominio con l’allontanamento dei facinorosi, si è limitata a prendere qualche insulto, a rilasciare una dichiarazione sulla permanenza del nucleo nell’immobile assegnato e ad andarsene, dopo aver verificato di persona che non era stata neanche attivata la luce. Come se neanche fosse la Sindaca di Roma…
3) Si può impedire ad associazioni, comitati e persone accorse per difendere la famiglia di etnia rom di avvicinarsi al cortile quando palesemente lo fanno nel segno della solidarietà?
E’ alquanto bizzarro che si lasci campo libero a chi, con gesti e parole ignobili, attacca delle persone indifese e si organizza per reiterare la vigliaccata, riducendo al contempo i movimenti di chi porta sostegno alla parte lesa. La giustizia al contrario non potrebbe avere una rappresentazione più plastica: legittimazione dello squadrismo e accanimento contro le espressioni democratiche e solidali.
4) Si può essere i custodi dell’ordine e della sicurezza e permettere che 450 persone, di cui 98 bambini, restino senza luce?
E’ quello che è avvenuto a via Statilia, quartiere San Giovanni, dove nel tempo è stata recuperata ad uso sociale e abitativo una ex sede dell’Inpdap, abbandonata al suo destino per lunghi anni. Il luogo è diventato un interessante esempio di rigenerazione urbana, condotto dal basso e senza finanziamenti pubblici, un caso da studiare, conquistare alla legalità e riproporre: è senz’altro vero che questo dovrebbe essere compito della sfera politica, ma quando si tagliano i servizi essenziali alla vivibilità ad essere chiamata in causa è la prefettura. Per legge, essa è chiamata a assumere impegni diretti anche in campi che esorbitano dalle proprie competenze in casi di calamità naturali: come può restare inerte di fronte alla deriva disumana imposta da proprietà insensibili su una questione come il disagio e l’emergenza abitativa, che per numeri ha ormai assunto i tratti di una vera e propria calamità sociale?
5) Si intende procedere manu militari contro le esperienze sociali, culturali e abitative che hanno rappresentato e rappresentano un argine al declino senza fine di Roma?
A partire dalla lista originaria delle occupazioni “critiche” stilata dal commissario Tronca, è stato definito il piano sgomberi, con 22 immobili individuati come priorità di intervento. In mezzo ci sono occupazioni a scopo abitativo, centri sociali e luoghi che sono diventati da anni eccellenze artistiche della città. Inutile dire che la scelta della linea della fermezza e della repressione poliziesca contro tale variegato mondo rischia di precipitare la città in uno scontro di cui faranno le spese proprio i nostri quartieri, indisponibili a rinunciare alle isole di resistenza sociale e culturale stratificate nella storia recente.
La Prefetta Pantalone ci pensi bene: può riuscire o meno nei suoi piani, ma vuole davvero passare alla storia come colei che ha fornito una protezione eclatante al “ribellismo” neofascista e contemporaneamente ha precipitato la Capitale in una guerra sporca, volta ad azzerare le esperienze sociali, culturali e abitative? Ad ogni forzatura repressiva e poliziesca i problemi sociali risulteranno ingigantiti e, oltre a quelle dei mandanti politici, a risaltare saranno proprio le sue responsabilità.
Andrea Catarci, Movimento Civico