Roma
Roma: l'urbanistica ma pubblica. Come rilanciare la città dopo la propaganda
Ecco gli obiettivi raggiunti dall’urbanistica M5s, tra propaganda e minimalismo, fantasie e mezze verità
di Andrea Catarci *
Roma, bloccare la “fuga dall’urbanistica” rilanciando la città pubblica. Ecco gli obiettivi raggiunti dall’urbanistica M5s, tra propaganda e minimalismo, fantasie, mezze verità. L'Assessore comunale all’urbanistica della giunta Raggi, Luca Montuori, ha fatto un suo personale bilancio dell’attività svolta e si è soffermato su quelli che considera i “principali obiettivi raggiunti”, a meno di un anno e mezzo dalla conclusione della consiliatura.
Roma Capitale sta partecipando a un bando internazionale (Reinventing Cities) e con esso intende rilanciare la rigenerazione urbana;
a Roma sono ripartiti i cantieri, alle Torri di Ligini all’Eur, all’ex Zecca di piazza Verdi, all’ex istituto geologico a largo Santa Susanna e a via Guido Reni;
a Roma si sono avviati nuovi concorsi di progettazione come strumento e si è sottoscritto un protocollo d’intesa sul tema con Consiglio e Ordine degli Architetti;
a Roma si sono avviati progetti per valorizzare le aree dismesse intorno alle stazioni ferroviarie, come alla Stazione Tiburtina, alla Stazione Tuscolana e al Pigneto;
a Roma sono ripartiti i programmi integrati Print - come a Pietralata - e si sono realizzati alcuni servizi locali, in particolare nel IV, V VII e XIII Municipio;
a Roma sono stati realizzati 1.300 appartamenti di edilizia privata a carattere sociale con lo strumento del social housing;
a Roma si è operato per tutelare coloro che sono stati oggetto di truffe con i Piani di Zona;
a Roma si è ottenuto che gli imprenditori privati versino 17 milioni di euro per il Piano di Riassetto di Piazza dei Navigatori.
Basta scorrere l’elenco per comprendere a cosa sia stata ridotta l’urbanistica nella Capitale, cioè quella che si definirebbe la “disciplina che studia il territorio antropizzato ed ha come scopo la progettazione dello spazio urbano e la pianificazione organica delle modificazioni”. In esso in molti casi si ricorre alla fantasia e alle mezze verità: la partecipazione a un importante bando internazionale diventa un obiettivo già conseguito e non uno strumento, ancora tutto da verificare negli esiti visto che sta nella fase iniziale del lancio delle manifestazioni di interesse; la ripartenza di alcuni cantieri viene esaltata acriticamente, senza accennare all’utilità degli stessi nel merito - anche funzionale o solo economica-occupazionale? – e senza spendere una parola né sui motivi dei lunghi anni di fermo né sul fatto che tale ripresa risulta trascurabile rispetto a quanto resta immobile in tema di riqualificazione; la realizzazione di 1.300 appartamenti di housing sociale e di qualche nuovo servizio a macchia di leopardo vengono descritti come grandi cambiamenti e non per quello che sono, cioè provvedimenti di cui valutare l’impatto e che sicuramente non intaccano il dramma dell’emergenza abitativa e non incidono significativamente sulla vivibilità nei quartieri romani; il recupero di 17 milioni a piazza dei Navigatori viene spacciato per un risultato positivo, mentre in realtà per ottenerli la giunta Raggi ha autorizzato la cordata imprenditoriale che non ha realizzato nessuna delle opere pubbliche dovute a costruire un terzo edificio di dieci piani, mentre dei due già costruiti uno è abbandonato al degrado e uno usato solo parzialmente.
C’è tanta propaganda ma nemmeno quello è l’aspetto principale, a risaltare è quello che non c’è. Nell’elenco si eludono tutti i temi strategici per lo sviluppo della città - che non possono essere citati come dichiarazione d’intenti essendo trascorsi tre anni e mezzo di governo grillino -, su cui in effetti ha regnato l’inerzia e non sono stati prodotti risultati se non la deregulation. Nella fuga dall’urbanistica si rimuove persino quello stadio che è stato per anni al centro della “narrazione” e a cui non si fa riferimento nemmeno indirettamente.
Il progetto “sgovernato” dello Stadio della Roma
Dopo la rinuncia alle olimpiadi, la giunta Raggi ha concentrato la propria attenzione, appunto, sullo stadio di calcio della Roma e ha operato con l’obiettivo di ridurre le volumetrie attraverso l’eliminazione delle torri dell’archistar Daniel Libeskind. Non è riuscita a contemperare tale legittima volontà con la disponibilità delle necessarie infrastrutture e ha lasciato inascoltati gli appelli dell’ex assessore Berdini a scegliere altre aree meglio servite in zona Tor Vergata e Romanina. Si è così passati dal progetto sovradimensionato prodotto dall’ex giunta Marino a una versione meno impattante ma per molti versi irrealizzabile, severamente bocciata nella relazione commissionata al Politecnico di Torino per le lacune in tema di mobilità. La promessa di rafforzare l’offerta di trasporti pubblici, la realizzazione del nuovo asse stradale derivante dall’unione della via del Mare con la via Ostiense e il ponte dei Congressi, che peraltro si prevede di finanziare con risorse pubbliche, sono state giudicate misure ampiamente insufficienti, comportando il rischio di produrre “un’estrema congestione” fin dalla cantierizzazione. Sono considerati indispensabili ulteriori interventi sull’ambito ferroviario (linee Roma Lido e FL1), su percorsi protetti ciclo-pedonali, sulla gestione della sosta con i sistemi di trasporto intelligente. Lo stadio poi, aldilà dei giudizi di merito, si è arenato davanti all’inchiesta giudiziaria riguardante le procedure adottate, che ha travolto tra gli altri il costruttore Luca Parnasi e l’avvocato di fiducia del M5S Luca Lanzalone.
Il progetto “congelato” dell’ex fiera
Oltre a quello “sgovernato” dello stadio ci sono altri importanti progetti che sono stati congelati e che sembrano caduti nel dimenticatoio, come quello dell’ex fiera di viale Colombo. Accogliendo le indicazioni tecniche e politiche provenienti dal Municipio Roma VIII, dalle associazioni ambientaliste e dai comitati di quartiere, da sempre in prima linea per scongiurare il rischio di speculazione, l’ex Assessore Berdini decise il ridimensionamento dell’intervento urbanistico nell’area, dai 67.500 metri quadrati previsti dall’ex giunta Marino a 44.360 metri quadrati, la superficie edificata attualmente esistente. Dopo tale decisione, risalente ad agosto 2016, non è più stato compiuto nessun atto significativo e quella che era sbandierata come una priorità per la città - oltre che per Investimenti spa, la società composta prevalentemente da Camera di Commercio, Regione Lazio e Roma Capitale - è diventata improvvisamente una pratica invisibile, a fronte di una quotidianità che continua a regalare ai quartieri circostanti degrado e abbandono.
Lo stesso discorso vale per ulteriori grandi questioni che dovrebbero essere affrontate e non lo sono affatto, come la valorizzazione e la tutela delle zone di pregio. Si pensi a quel patrimonio unico al mondo che è il parco dell’Appia Antica, lasciato colpevolmente alla mercé di inquinamento ambientale, abusivismo edilizio e interessi privati.
Il progetto “riesumato” di piazza dei Navigatori
Ci sono poi i progetti su cui la giunta Raggi ha scelto apertamente di tutelare gli interessi forti, come nel caso della deliberazione sul piano di riassetto di piazza dei navigatori, di cui si è già accennato in precedenza. Dopo i circa 15 anni passati dalla firma dell’accordo pubblico-privato nell’area non è stata concretizzata nessuna delle opere pubbliche previste, a fronte della realizzazione di due imponenti edifici a uso privato, di cui uno abbandonato e uno usato solo parzialmente. Ciò non è bastato per chiudere definitivamente la questione e chiedere il risarcimento in danno, nonché la restituzione di aree e diritti edificatori messi a disposizione da Roma Capitale. Si è scelto di “riesumare” la convenzione scaduta, di autorizzare la costruzione di un terzo edificio di dieci piani che nella zona è destinato a far saltare equilibri già messi a dura prova e di assolvere “de facto” i responsabili delle precedenti bravate, sia sul fronte imprenditoriale che su quello del controllo istituzionale, come se non avessero tenuto in scacco un quartiere intero. Tutto questo è stato camuffato dietro la retorica per la presunta vittoria per aver ottenuto i 17 milioni, utilizzati per interventi distribuiti sul territorio municipale senza nessuna regia e senza nessun obiettivo chiaro di ridurre i maggiori oneri urbanistici derivanti dalle nuove costruzioni.
L’urgenza di un’urbanistica che rimetta al centro la “città pubblica”
Insomma, il quadro delle politiche urbanistiche cittadine è a dir poco inconsistente, anzi si può dire che le politiche urbanistiche sono state sostanzialmente eliminate dall'agenda politica capitolina. Si dirà, ed è senz’altro vero, che i problemi vengono da lontano, che anche le passate giunte comunali di centro sinistra guidate da Rutelli e Veltroni - con la logica degli accordi di programma, delle compensazioni e di quel “pianificar facendo” che ha trovato il suo sbocco naturale nel Prg del 2008 dove sono stati ratificati i progetti degli anni precedenti - hanno adottato un approccio che si è tradotto in una riduzione sia del controllo pubblico sulla programmazione che della tutela dell’interesse collettivo; che durante i cinque anni di governo della destra con il Sindaco Alemanno si è arrivati a utilizzare esplicitamente il territorio come moneta urbanistica, con l’intenzione di elargire cambi di destinazione d’uso, aumenti di cubature e possibilità di edificazione inedite per ottenere un’opera di urbanizzazione o qualche piccolo finanziamento, avviandosi verso l’archiviazione definitiva del concetto stesso di interesse pubblico; che i tentativi iniziali di invertire la china operati dalla giunta Marino, sottraendo all’edificazione vaste porzioni di agro romano e rilanciando il progetto dei Fori finalizzato alla realizzazione del più grande parco archeologico del mondo dal Colosseo all’Appia Antica come da intuizione di Antonio Cederna, si sono presto arrestati in un tran tran più vicino alla continuità con il passato che all’innovazione necessaria e in una nuova affermazione di interessi particolari.
Ma non basta guardare indietro per giustificare l’inerzia e la rinuncia di oggi, anzi. Proprio perché è chiaro il quadro attuale generato dalle scelte passate; proprio perché è evidente che i nuovi quartieri di Roma sono stati collocati in aree scarsamente collegate e con pochi servizi; proprio perché è risaputo che intorno ai troppi centri commerciali autorizzati si è dato vita più a non luoghi che a realtà vivibili; proprio perché il centro e parte della città consolidata si svuotano di residenti e si riempiono di strutture ricettive mentre nei quartieri più periferici aumenta sia la densità di popolazione che le contraddizioni di contesti già precari; proprio perché, in sostanza, è abbastanza facile e intuitivo rintracciare nella cultura privatistica che ha preso il sopravvento sulla città pubblica una delle cause principali del declino attuale di Roma, l’inerzia e la rinuncia a elaborare e attuare politiche urbanistiche degne di tal nome non sono più tollerabili.
Il polo democratico e progressista che si candida a governare Roma nel 2021 dovrà essere in grado di cambiare in profondità un andazzo così pericoloso, imparando anche dal clamoroso fallimento registrato dalla giunta Raggi e dal M5s.
* Andrea Catarci, Movimento civico per Roma