Roma

RomaUno Tv, la beffa del Fallimentare: “Niente stipendi”

“Al danno economico anche l'umiliazione morale”

Senza stipendio, senza lavoro, alle prese con una battaglia legale per poter accedere la proprio tfr, e ora bastonati anche da un giudice che non riconosce ai giornalisti il diritto di percepire le mensilità del periodo in cui sono andati a lavorare senza essere pagati.
La storia dell'emittente televisiva RomaUno, punto di riferimento per dodici anni dei cittadini romani, si chiude nel peggiore dei modi.
“Al fallimento morale ed economico nella gestione di Roma Uno con le conseguenze sui colleghi che hanno perso il posto di lavoro si aggiunge uno strascico giudiziario che Stampa Romana giudica molto grave per i colleghi, costituendo un pericoloso precedente per il mondo dell’editoria”, dichiara Lazzaro Pappagallo, segretario dell'Associazione Stampa Romana. La notizia, che in poche ore ha fatto il giro del web, lascia esterrefatti. E arriva dopo mesi di angoscia e estenuante attesa.
A settembre scorso Roma Uno è stata acquistata da una società di Fabrizio Coscione, imprenditore titolare anche di altre emittenti private. La nuova società non ha mai pagato gli stipendi, né rilasciato buste paga, costringendo i dipendenti a scioperi e proteste ripetute e sostenute anche da Stampa Romana. La fine del rapporto di lavoro per i dipendenti si attesta prevalentemente all’inizio nel mese di gennaio quando subentra la curatrice del fallimento Franca Cieli.
Da quel momento è una corsa affannosa per cercare di dimostrare che i lavoratori, non pagati dal mese di agosto e senza busta paga, sono andati comunque a lavorare, hanno continuato a raccontare la città e i suoi problemi, e hanno mandato in onda telegiornali e trasmissioni quotidiane, con ospiti in studio e persone intervistate. Ma alla fine, il giudice ha deciso che tutto questo non bastava per stabilire che i giornalisti avevano effettivamente lavorato.
“Sappiamo che il rapporto di lavoro giornalistico non è provato dall’esistenza di un badge. Il cartellino non ha diritto di cittadinanza contrattuale. Sappiamo anche che nel caso specifico non ci sono mai state buste paga perché i dipendenti non sono stati pagati. Sappiamo anche che a un certo punto anche il direttore Esposito si è dimesso e la redazione era senza guida”, spiega Lazzaro Pappagallo. “Ciò non toglie che i dipendenti si siano sempre presentati nella sede di via Groenlandia per prestare servizio, non volendo concedere il destro ad azioni unilaterali da parte di un’azienda che non vedeva l’ora di togliersi dal groppone il monte salari dei giornalisti. D’altronde le azioni sindacali, scioperi inclusi, si fanno quando il rapporto di lavoro è ancora in piedi e per conservarlo. Agire in modo diverso sarebbe semplicemente fantozziano. Tutte cose riportate al fallimento”.
Ebbene tutto questo non è bastato al giudice delegato Daniela Cavaliere. Non sono bastate le testimonianze. Voleva i video delle messe in onda che non sono stati rintracciati nel server del sistema centrale e non è e non può essere questa una colpa o una responsabilità dei giornalisti e dei dipendenti.
Per vedere riconosciuti i propri diritti ora i giornalisti hanno una sola strada: fare opposizione e proseguire l'azione legale: operazione che ha, ovviamente, dei costi.
“Dire ai colleghi in giudizio “fate opposizione” di fronte al diniego di diritti e retribuzioni legittime significa anche non comprendere le difficoltà, i drammi individuali di persone fiaccate dalla mancanza di stipendi”, continua Pappagallo. “Ricordiamo sommessamente ai giudici che costa far valere le proprie ragioni in giudizio. Stampa Romana continuerà a difendere le ragioni dei colleghi, le cui rivendicazioni sulle cinque mensilità non riconosciute sono contrattualmente legittime, e non si arrende alla casualità degli eventi”.