Roma
Salini, operai schierati per l'ultimo saluto. Il gotha delle costruzioni sfila in chiesa
di Patrizio J. Macci
Un requiem dove il colore che domina è l'arancione e che "all'ingegnere" sarebbe piaciuto molto. Arancio come il colore delle pettorine delle sue maestranze, quelle che hanno accolto per l'ultimo saluto schierate su due ali davanti alla Basilica di Santa Sabina all'Aventino il feretro dell'ingegner Claudio Salini, schiantatosi a 46 anni con la sua Porsche nera sulla Cristoforo Colombo con la complicità di una malformazione del manto stradale. Una nemesi terribile per chi ha fatto del costruire a regola d'arte il suo mestiere e la sua missione di vita.
Facce di capomastri cotti dal sole dei cantieri che non usano la giacca e la cravatta, ma nella loro fisicità dimostrano il rispetto di chi conosce ogni pietra e ogni mattone di quello che i propri occhi hanno misurato. A loro appartiene la prima corona ad arrivare sul sagrato, talmente grande che non entra in chiesa e a fatica viene posta a lato dell'entrata. Sta in piedi dopo tre tentativi, non per nulla si legge nella scritta la parola "Italferr". Pesa d'amore come il materiale maneggiato da chi l'ha inviata.
La basilica conosciuta anche per la presenza di una misteriosa pietra bruna che si favoleggia sia stata scagliata dal diavolo in persona, nera come il colore dell'automobile maledetta, non basta ad accogliere gli intervenuti. Le dinastie dei costruttori romani, quella che qualcuno ha definito la "razza mattona" sono tutte rappresentate: Azzurra Caltagirone con prole, Filippo Faruffini ammogliato Navarra, Roberto Carlino (l'uomo che ha fatto sognare una casa a parecchi romani) tricologicamente scorretto con una improbabile capigliatura che vira all'arancione anch'essa. Fabiano Fabiani, Giovanni Malagò in leggero ritardo con il viso di chi esce dalla peggiore delle sconfitte dopo una partita, i fratelli Toti. Assente la politica nazionale tranne l'ex Ministro delle Infratrutture Maurizio Lupi e l'imprenditrice e presidente di Poste Italiane, Luisa Todini.
Tutti immersi in un'aria triste e plumbea come il cielo della Capitale che avvolge la vedova, le figlie e i familiari Salini; non si riesce a sentire lo squillo di un telefono se non quello di qualche turista che con il rito non c'entra nulla e domanda stupito il motivo di tanto affollamento. Ilary Blasi è l'unico personaggio della tv presente, gli altri se ci sono si sono nascosti benissimo; è abile a entrare in chiesa quasi non riconosciuta, e a sgusciare via dai fotografi come un dribbling del suo Capitano prima del termine della funzione.
Si indovinano volti di "boiardi di stato", appaltatori che hanno disegnato la Capitale insieme alla famiglia dell'Ingegnere sin dagli anni Cinquanta, quelli che quando hanno cominciato a costruire usavano la riga, una matita e un foglio di carta millimetrata. Il verso che mima uno di loro per raccontare il micidiale incidente stradale è quello dell'appallottolamento: "l'automobile era accartocciata come un foglio di carta".
Alla fine un operaio pacioso, con le mani enormi come due palanche e le dita spesse come un tondino di ferro da cemento armato chiosa in romanesco: "Bon viaggio Cla', tanto il primo che incontri è San Pietro. Uno che ha fatto la prima Chiesa, un costruttore puro lui".