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Roma
“Schiavi del potere e dannosi per la città”. Bocciato un quarto dei circoli del Pd

Un quarto dei circoli del Pd “schiavo del potere” e assoggettato all'”interesse particolare”, caratterizzato da una “monopolizzazione” e uno “schiacciamento sull'amministrazione”; realtà  “dannose per la vita politica e per i cittadini”.
La fotografia disarmante del panorama romano è stata scattata dall'economista ed ex Ministro Fabrizio Barca su richiesta del commissario Matteo Orfini. E i dati sono stati presentati con parole durissime nel corso dell'audizione di mercoledì in Commissione Antimafia dallo stesso Barca. Sentito dalla presidente Rosy Bindi, nell'ambito dell'inchiesta avviata su Mafia Capitale, Barca ha spiegato che dalla relazione è emerso che “dei 108 circoli (in tutto 110 ma 2 sono inattivi), 25 di questi, cioè poco meno di un quarto, si sono rivelati essere circoli “potere per il potere”. In 46 casi abbiamo trovato una situazione intermedia, cioè o identitaria o inerziale e in 37 casi abbiamo trovato una capacità o progettuale”.
Di responsabilità gravi da parte del Partito Democratico ha parlato lo stesso Matteo Orfini, chiamato anche lui in audizione. “C’era una responsabilità del mio partito, non parlo di una responsabilità penale, questo lo decideranno i tribunali, ma di una responsabilità politica, che per me è ancora più grave perché chiama in causa tutto il Pd di Roma e anche chi come me, di chi quel Pd è figlio”, ha detto ammettendo quindi che esistevano serie criticità “nelle modalità con cui il partito funzionava”.

“A Roma era sempre più ostaggio di uno scontro interno, molto poco si occupava dei problemi della città e molto di più di organizzazioni di potere interne al Pd ed evidentemente ha finito per non vedere quello che avveniva nella città” e per consentire “un'opposizione per certi versi eccessivamente consociativa che ha consentito inconsapevolmente, perché non c’era un nesso consapevole, che all’ombra di quel consociativismo crescesse un patto criminale, quello che Carminati chiamava ‘Mondo di mezzo’”.
Orfini ha poi però rivendicato il ruolo svolto da commissario, nel momento in cui si è trovato ad affrontare “una delle crisi politiche più gravi e complicate della vita della città e credo di averlo fatto con l’onestà intellettuale di non negare l’entità del problema, di non provare a nascondere la polvere sotto il tappeto”.
“Io, senza voler esagerare, credo e rivendico di aver svolto una funzione positiva nel produrre uno scatto di consapevolezza nel mio partito. Ho detto da subito che condividevo l’impianto della procura e ho detto anche che per Roma era giusto parlare di mafia perché si trattava di mafia e di un sistema mafioso. Ho detto che quel sistema aveva infettato il sistema politico, le classi dirigenti della città”, ha detto.
Infine, una stoccata contro chi aveva il compito di controllare in passato: “Come è stato possibile non accorgersi di quello che stava accadendo nella città? Mi chiedo come sia stato possibile che tante cose siano avvenute in un sistema così radicato senza che la Procura pre Pignatone si sia adeguatamente accorta e mossa per contrastarlo. Come sia stato possibile avere un prefetto precedente a quello di oggi, che negava la presenza della mafia?”.

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