Roma

Scuola, insegnante chiede scusa ai ragazzi: “Avrei dovuto combattere con voi”

La professoressa D'Alessio del Rossellini agli studenti: “... Mi scuso per aver accettato i banchi monoposto, mi scuso per il sacrificio della cultura...”

di Andrea Catarci *

Sono considerati l'ultimo anello in ordine di importanza, improduttivi e senza ideali. Sono accusati di essere delle nullità rispetto alle generazioni precedenti - tra presunzione, paternalismo e timore -, di essere intenti solo a giocare e a divertirsi, a correre dietro alle mode, a comprarsi il telefonino nuovo, a restare eternamente “bamboccioni”.

Nelle mobilitazioni nell’era della pandemia vengono rimproverati in particolare per le presunte contraddizioni che li caratterizzerebbero, "prima siete contro la Dad e poi non volete rientrare nelle classi". In realtà sono diventati ripetitivi per spiegare come la questione non stia nell'ingannevole alternativa tra lezioni in aula o al pc ma sulle cose da fare - che non sono state fatte - per garantire un ritorno sicuro a presenza e socialità, insostituibili con la tecnologia.

A rimettere le cose a posto ci ha pensato un’insegnante romana dell’Istituto di Istruzione Superiore Statale Cine-tv Roberto Rossellini, Francesca D'Alessio: “Io vi chiedo scusa perché in quanto insegnante avrei dovuto combattere per voi con coraggio, senza subire passivamente e aspettare che piovessero dall’alto indicazioni e protocolli evasi e poco dopo ritirati e modificati”. Comincia così la lettera sentita e appassionata con cui si rivolge a studentesse e studenti delle scuole superiori. Prosegue elencando le altre questioni su cui ritiene di doversi scusare: per aver accettato i banchi monoposto e tutte le altre disposizioni mentre le classi rimanevano da 30; per aver rifiutato la proposta di una mobilitazione condivisa e trasversale finalizzata a mettere davvero gli istituti in sicurezza; per aver tollerato che la cultura fosse la prima a essere sacrificata con la chiusura di musei, teatri e cinema; per il mancato potenziamento dei trasporti.

Le mobilitazioni studentesche parlano di futuro.

Avete provato a guardarli e ascoltarli? Sotto il sole invernale della città più bella del mondo, davanti alle scuole, a viale Trastevere, a piazza del Pantheon, si riuniscono e si muovono nelle vie adiacenti tra parole, musica e gioia di ritrovarsi, numerosi e distanziati, decisi a farsi sentire, arrabbiati per come vengono dipinti. Si confermano una delle più belle realtà del presente e la soggettività più chiara, vivace, generosa, intelligente, creativa, comunicativa e portatrice di futuro.

Tra le tante cose ne reclamano una semplice semplice: essere accompagnati nella ricerca di soluzioni nuove, miste e inedite con cui attraversare l’emergenza indotta dal covid. Non chiedono alle istituzioni di trovarle per loro, si accontentano di non essere ostacolati, mentre prospettano alleanze sociali con l’obiettivo di acquisire capacità d’urto.

Seguirli potrebbe aprire la strada a qualche miglioramento, per il mondo dell'istruzione e persino per l’azione complessiva di quel parlamento che ostenta superiorità e separatezza, malgrado a poca distanza fosse impegnato a discutere di una crisi di governo ottusamente aggiunta a quella pandemica e sociale. Invece si chiudono tutte le porte alle loro proposte, ricorrendo a consumati stereotipi per disinnescarli e metterli nel recinto della ritualità.

Sosteniamoli, per diventare più forti insieme a loro.

Sono consiglieri formidabili anche per le forze democratiche di Roma, sotto diversi punti di vista: ci dicono che le problematiche di ieri e di oggi non devono essere causa di depressioni e rinculi ma vanno affrontate a viso aperto, con slancio, con la voglia di prendere in mano il proprio destino mediante processi collettivi; ci dicono che stare fermi nell’attesa che succeda qualcosa non è una strategia ma una rinuncia; ci dicono che la battaglia per il Bene Comune - si chiami istruzione pubblica o Roma - è qualcosa per cui vale la pena spendere tutte le energie che si hanno; ci dicono che loro ci sono, a produrre aggregazione e trasformazione e a rendere migliori i nostri quartieri.

Non facciamo lo stesso errore di chi si stupisce della loro capacità di essere in movimento e li guarda distrattamente senza afferrarne i messaggi sostanziali. Non lasciamoli soli, sosteniamoli con ogni mezzo necessario: non tanto per loro che pur ne hanno bisogno quanto per noi, per dare forza a una speranza di cambiamento per Roma.

* Andrea Catarci, coordinatore del Comitato scientifico di Liberare Roma