Roma
Sgombero Santa Maria della Pietà: “Vogliono trasformare Roma in un deserto”
Andrea Catarci interviene sullo sgombero del Padiglione 31: “I comitati non hanno mai smesso di animare percorsi di comunità ed elaborare progetti"
di Andrea Catarci *
Dopo il Cinema Palazzo a subire lo sgombero poliziesco è stata l’ex Lavanderia, attiva dal 2004 all’interno del padiglione 31 dell’ex manicomio “Santa Maria della Pietà”, nel quartiere di Monte Mario.
Da allora si è caratterizzata per socialità, solidarietà, memoria, critica delle istituzioni totali, gruppi di acquisto, ciclofficina, scuola popolare, cura del verde, banca del tempo, arte, cultura, con attività prodotte da varie realtà di base e in particolare dall’associazione omonima, nata proprio con l’obiettivo di sviluppare la vocazione culturale della centralità urbana richiamata nel Piano Regolatore Generale del 2008.
A sostegno si sono raccolte migliaia di firme, è stata presentata e approvata una delibera comunale di iniziativa popolare, è stata elaborata una proposta di legge regionale che però è rimasta nei cassetti, non andando in discussione. Sono stati anche stanziati consistenti fondi pubblici ma degli ostelli della gioventù promessi non c’è traccia, al punto che la Asl proprietaria del complesso ha smantellato le strutture deputate ad accoglierli. Al contrario i comitati non hanno mai smesso di animare percorsi di comunità, elaborare progetti, sopperire all’assenza di punti di riferimento per la cittadinanza. Non li ha fermati neanche la pandemia: dallo scorso anno si è organizzato un polo solidale che con la regia dell’associazione “Nonna Roma” ha aiutato persone e famiglie in difficolta economica, ha promosso forme di sostegno scolastico, ha assicurato assistenza legale. Nonostante ciò è venuto l’epilogo con blindati e identificazioni, mentre le istituzioni hanno girato la testa dall’altra parte.
Non è possibile cavarsela con la consueta litania sull’illegalità delle occupazioni.
Chi per rispondere a domande sociali inevase ridà vita a spazi abbandonati lasciati colpevolmente in disuso crea valore per i quartieri e la città, riduce desertificazione ed emarginazione, contrasta sul campo dipendenze, criminalità, solitudini. La filiera di comando che azzera tali esperienze fa l’esatto contrario: si autoassolve per errori e responsabilità accumulate negli anni, toglie servizi e partecipazione, aumenta i non luoghi dell’immenso territorio urbano, pretende la ragione attraverso l’uso della forza. L’unica cosa sensata da fare è ristabilire subito un dialogo e garantire la prosecuzione delle attività: se Asl Roma 1 e Municipio Roma XIV non lo capiscono intervengano la Sindaca Raggi e il Presidente Zingaretti, subito.
Roma ha una struttura estremamente complessa, è fatta di tante “città nella città”, persino più numerose dei 15 municipi in cui è suddivisa sul piano politico-amministrativo.
Nell’attuale contesto ha perso di senso la stessa distinzione tra centro e periferie, perché ormai queste ultime SONO la città: solo 80.000 persone abitano all’interno delle mura Aureliane e il resto vive nei quartieri semicentrali e negli insediamenti più lontani, con il 25% che sta a cavallo del GRA, ormai non confine ma collegamento tra i tessuti urbani circostanti. Obiettivo primario dovrebbe essere quello di garantire che ogni dimensione municipale sia fornita di tutte le componenti funzionali all’abitare: dotazione di welfare e medicina territoriale, un’offerta adeguata a garantire la crescita culturale, un efficiente sistema di collegamento con il nucleo centrale, gli altri quartieri e l’area metropolitana.
L’inadeguatezza del presente si contrasta innanzi tutto con il sostegno alle tante esperienze locali di valore sociale che già ci sono, attività sportive, solidali, culturali, ricreative, artistiche, di recupero e cura del territorio, di piccolo artigianato che migliorano i quartieri e li rendono più vivibili. Ovviamente non basta. Serve affiancare a esse dei centri civici in cui stimolare il protagonismo e rispondere alle mancanze con la sinergia tra cittadini, soggetti agenti e istituzioni, un po’ come si tentava di fare qualche anno fa con i “laboratori di quartiere” e la progettazione partecipata. Occorre dotarsi di un Regolamento sui Beni Comuni – respinto in Assemblea capitolina dalla maggioranza grillina -, individuare modalità gestionali e attività da allocare permanentemente in edifici e terreni, con i municipi nelle vesti di garanti e facilitatori. Sempre nella medesima ottica gli istituti scolastici e le strutture universitarie vanno investite di una funzione di presidio e chiamate ad agire da nuclei propulsivi disseminati, anche come argine alla dispersione, al digital divide e all’analfabetismo di ritorno. Bisogna sperimentare i patti territoriali per il benessere, sul modello già avviato in alcuni municipi, con il pubblico che funge da snodo di tutti i soggetti interessati a una buona programmazione, coinvolge l’imprenditoria socialmente responsabile, realizza azioni e progetti sulla base di obiettivi condivisi. Tutto ciò e altro ancora sono elementi di ripartenza indispensabili.
La strada da fare è davvero tanta. Più che di qualche operazione eclatante e di facciata c’è urgenza di moltissimi piccoli interventi, cantierabili e realizzabili in tempi brevi e medi. Perché si sceglie invece di andare nella direzione opposta?
* Andrea Catarci, coordinatore del Comitato scientifico di Liberare Roma